Sventolano quaranta bandiere di altrettante nazioni, ma non è una babele quanto piuttosto un segno della colorata e vivace unità della Chiesa. Che introduce la Messa dei Popoli, una festa nella festa nel giorno dell’Epifania. La solenne celebrazione è accompagnata da canti, danze e colori tipici dei paesi di provenienza degli immigrati cattolici, soprattutto sudamericani, africani ed europei dell’Est, ortodossi ma anche cattolici, di rito latino e orientale.
I quaranta “vessilli” al vento in Basilica Cattedrale fanno parte della “sfilata delle nazioni”, l’atto primo della Messa dei Popoli, la celebrazione eucaristica nata diciannove anni fa, con la quale la Diocesi di Rimini dà voce e visibilità agli immigrati cattolici di ogni parte del mondo presenti sul territorio.
La Chiesa riminese ha scelto l’Epifania quale occasione centrale per gli immigrati, nel giorno in cui la liturgia ricorda i Magi, precursori dei popoli lontani che vengono ad adorare con oro, incenso e mirra Gesù Bambino.
Il messaggio iniziale è stato letto in quattro lingue, come pure in diversi idiomi sono state proclamate letture e le sette preghiere dei fedeli (in albanese, portoghese, indonesiano, filippino, rumeno, spagnolo e inglese). Tutta la liturgia, presieduta dal vescovo mons. Francesco Lambiasi, è stata un inno alla “diversità nell’unità”. Ad animare il canto, ad esempio, ci ha pensato un coro misto, quello della parrocchia di San Lorenzo in Coreggiano, con brani in equadoregno, rumeno, ucraino, fino al “Tu scendi dalle stelle” del coro cinese diretto dalla Comunità di Montetauro. Alla processione offertoriale sono stati consegnati cinque cesti (in rappresentanza dei cinque continenti) con prodotti tipici delle varie comunità. Ad animare il “Santo” ci hanno pensato invece le suore filippine con una danza.
Il Vescovo ha prima toccato il tema dei Magi che cercano e rischiano per la verità, si interrogano e si mettono in questione “senza ritrovarsi schiavi della «dittatura del relativismo»”. Cercare Dio insomma significa uscir fuori, rischiare e lasciarsi sorprendere. “I Magi han seguito una stella, ma alla fine non hanno trovato una star, un vip, un divo della politica, delle finanze, dello spettacolo” ma un bambino che si mette nelle mani di tutti. Sintetizzando l’esperienza dei Magi, “Cercare Dio significa fidarsi e affidarsi”.
Mons. Lambiasi ha poi lanciato l’urgenza della “Chiesa per quelli di fuori”. Le comunità cristiane non assomgiliano certo a Erode, di cui non mostrano il ghigno beffardo, ma – si domanda mons. Lambiasi – “se facciamo la comunione con il Pane eucaristico e poi non condividiamo il pane quotidiano con chi non ce l’ha, questa comunione è veramente un mangiare la cena del Signore oppure è un ingoiare la nostra condanna?”.
Il Vescovo si spinge più in là con una positiva provocazione. “Abbiamo comunità chiuse, – prosegue mons. Lambiasi – che scoprono la loro missionarietà verso i «lontani» di tanto in tanto. E quando diciamo «lontani», in genere pensiamo a quelli che si sono allontanati, mentre dovremmo pensare anche a quelli che sono stati da noi allontanati”. Cosa stiamo facendo per “quelli di fuori” che pure ci si fanno vicini, in occasione di richieste di funerali, di battesimi, di iscrizione dei figli al catechismo? si domanda mons. Lambiasi. Il pastore della Chiesa riminese rilancia: “sappiamo valorizzare «ogni occasione» per aiutare questi fratelli e sorelle a riscoprire la bellezza della fede cristiana con la proposta del primo o secondo annuncio del vangelo?”.
Il Vescovo rilancia indicando tra “quelli di fuori”, allontanti magari anche involontariamente dalla stessa comunità cristiana, anche i giovanissimi, risorsa ancora inespressa dalla Chiesa. (c.z.)