Non si era parlato così tanto, e forse non ci eravamo sentiti così responsabili, per la tragica sorte di quanti erano periti in mare nei mesi scorsi, mentre tentavano di raggiungere le coste italiane, e neppure per i naufraghi provenienti dall’Albania, alcuni anni fa, come invece sta avvenendo in questi giorni per la decisione delle nostre autorità nazionali di riportare sulle sponde africane coloro che cercavano di raggiungere il nostro Paese. Naufraghi sepolti in mare quelli, naufraghi del mare e della vita questi ultimi, con i loro stracci e i loro occhi che ci interrogano sulla nostra “crisi” e specialmente sulle nostre pubblicità tese a farci consumare di più e di tutto. Sono stati riportati d’autorità su strade di fame e di morte che già conoscevano: non tutti erano bisognosi di asilo, non tutti santi, ma poveri lo sono di certo e in questa occasione sono divenuti assai simili a Cristo, scaricato da Pilato a Erode e viceversa; i due in quel giorno divennero amici, dopo essere stati nemici. A questa cronaca triste e umiliante si sono aggiunte le proposte – poi declassate a ”battute” – di un inedito apartheid da sperimentare a Milano.
Sono questi gli ultimi episodi, in ordine di tempo, che ci devono rendere più attenti non solo alla casistica e alle soluzioni adottate ma alla cultura sottostante, per capire qual è il criterio fondamentale cui fare riferimento nel giudicare questi e altri casi analoghi. Infatti un rischio è proprio quello di rincorrere solo la cronaca e valutare caso per caso, col pericolo ricorrente di giudicare in modo diverso a seconda della provenienza politica delle soluzioni adottate. Opposto e simmetrico è il rischio di chi è affezionato ai suoi paradigmi, e ogni tanto può anche dire che i fatti gli hanno dato ragione. Ma nell’un caso e nell’altro rischiamo di essere dominati da ideologie, proprio quando ci si era illusi che avessero fatto il loro tempo.
Esse invece resistono, eccome, pur trasformandosi in mille varianti, e non è difficile riconoscerne le matrici storiche nate negli ultimi secoli.
La vera bussola per orientarsi resta quella offerta dall’intangibile dignità e valore della persona, di ogni vita umana e dei suoi diritti fondamentali, che non sono concessione di nessuna autorità o legge umana ma sono scritti nel suo stesso essere di uomo e di donna, ogni persona nella sua concretezza storica. Questo vale per terra e per mare, sul lavoro e sulle strade, nei primi istanti dell’esistenza e negli ultimi; vita umana preziosa non in base a graduatorie stabilite da criteri per lo più riconducibili all’avere e al produrre, ma per il suo stesso esistere. Proprio in questi giorni una sentenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto che il nascituro è soggetto giuridico con i propri diritti.
Con questo criterio fondamentale si possono e si debbono coniugare tutti gli altri criteri da tenere presenti: la legalità, l’affrancamento dalle mafie dei trafficanti di clandestini, la verifica dei motivi per le richieste di asilo, ecc., ma non a scapito dell’intangibile valore della vita e della persona. I problemi concreti da risolvere sono molti, ma non possiamo farci condizionare, magari inconsciamente, da culture xenofobe o peggio, che finiscono per colpire anche tutte le presenze positive e necessarie degli immigrati, magari chiudendo ancor più gli occhi sullo sfruttamento che molti subiscono, comprese le donne disseminate lungo le nostre strade. Senza dimenticare che le prime vittime di simili culture saremmo noi stessi.
Tra poco festeggeremo la Pentecoste, che ci ripresenterà la tavola dei popoli del Mediterraneo (Atti 2,1-13), tutti chiamati ad entrare nell’unica famiglia di Dio. La Chiesa è per sua natura multi etnica, e la solidarietà cui è chiamata comprende sia il pane quotidiano sia il pane dell’accoglienza e dell’apertura di cuore verso ogni persona.
Arrigo Miglio
+ vescovo di Ivrea
presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro e presidente del Comitato scientifico delle Settimane Sociali