“Decine di milioni, nel mondo. Centinaia di migliaia, dalla Siria. Accolti in gran parte dai paesi confinanti. Spesso poveri e fragili quanto i territori di provenienza. Accade in Giordania, Libano e Turchia: la rete Caritas è vicina ai profughi di una guerra crudele. L’Italia si allarma per un pugno di sbarchi: dobbiamo imparare ad aprire le porte a chi fugge conflitti, violenze, violazioni dei diritti. Le porte. E il cuore”. È l’input, non proprio alla moda, che ci viene dalla Caritas Italiana, in occasione della Giornata mondiale dei rifugiati, giovedì 20 giugno. Non molto alla moda, perché nei momenti di crisi e difficoltà, come quelli che viviamo, la tendenza del cuore è esattamente opposta a quella proposta, “Ognuno pensa a sé e Dio per tutti”, recita uno slogan pagano molto alla moda anche fra noi cristiani. Il rifugiato è un migrante che fugge dal suo paese di origine per motivi di conflitto, discriminazione razziale, negazione dei diritti fondamentali sia politici che civili. Non si tratta di sbandati, ma di persone costrette a fuggire. Per capire, alcuni rifugiati celebri sono stati Albert Einstein e, in un certo periodo della loro vita, Giuseppe Garibaldi, Enrico Fermi o il Dalai Lama. Purtroppo, oggi, le nazioni che una volta aprivano le porte ai rifugiati, le chiudono; mentre i Paesi poveri, che non potrebbero permetterselo, si fanno carico di un sempre più grande fardello. È dovere morale di tutti assistere i rifugiati. Dal punto di vista economico e culturale, essi creano più ricchezza di quanta ne consumino. Molti rifugiati sono persone di notevole creatività, che portano con sé una buona fama o la conquistano nei Paesi di adozione.
Un appello forte ci viene da Papa Francesco:“La Chiesa è madre e la sua attenzione materna si manifesta con particolare tenerezza e vicinanza verso chi è costretto a fuggire dal proprio Paese e vive tra sradicamento e integrazione. Questa tensione distrugge le persone. La compassione cristiana – questo «soffrire con», con-passione – si esprime anzitutto nell’impegno di conoscere gli eventi che spingono a lasciare forzatamente la Patria e, dove è necessario, nel dar voce a chi non riesce a far sentire il grido del dolore e dell’oppressione. Importante poi rendere sensibili le Comunità cristiane verso tanti fratelli segnati da tante ferite: violenza, soprusi, lontananza dagli affetti familiari, fuga da casa, incertezza sul futuro nel campo-profughi. Sono tutti elementi che disumanizzano e devono spingere ogni cristiano e l’intera comunità ad una attenzione concreta”. Anche per questo la Caritas riminese lancia il progetto: “Un rifugiato a casa mia”. Ne parleremo ampiamente sul prossimo numero.
Giovanni Tonelli