La chiesa di San Martino non è più, oggi, un punto di riferimento per tanti a Riccione. Situata nel cuore del paese storico della cosiddetta Perla Verde della Romagna, viene comunemente chiamata la “chiesa vecchia”, perché la più antica delle quattro chiese che oggi costituiscono l’omonima parrocchia: chiesa nuova, chiesa di San Francesco e di Santa Caterina. C’è stato un tempo, però, in cui la popolazione riccionese era molto più esigua, e l’antica chiesa di San Martino rivestiva un ruolo più importante nella vita della comunità cristiana. La sua fondazione risale al periodo medievale, nel 1237 (anche se altre fonti indicano il 1217), e non si trovava dove si trova oggi, ma fu eretta sul colle di Riccione ( Cà cavret dl’Arvura), dove rimase per ben cinque secoli, finché non fu “costretta” allo spostamento: nel 1786, infatti, il famoso terremoto che colpì Riccione nella notte di Natale la danneggiò irrimediabilmente, portando alla costruzione di una nuova struttura nel borgo, dove si trova ancora oggi. Fu benedetta l’8 novembre del 1789, incorporando dentro di sé la devozione, i sacrifici, il lavoro e la generosità di tutta quanta la popolazione di allora. Questo, per sommi capi, il racconto della vita di uno dei simboli storici più antichi di Riccione, che continua ancora oggi. Ma un’analisi più dettagliata e precisa di questa storia è quella condotta da Oreste Delucca e
Loris Bagli nel libro Le fontanelle di Riccione – Ambiente e Storia di un’area urbana tra mare e collina, pubblicato dal Comune di Riccione nel 2006, di cui riportiamo alcuni estratti.
“Innanzitutto merita sottolineare che la sua prima notizia, finora riferita al 1217, è possibile retrodatarla di un quarantennio e precisamente al gennaio 1177, grazie a una fonte tramandataci dal Garampi, che segnala Benedictus presbiter et rector ecclesie S.Martini in Arzonis. La pergamena del 20 aprile 1217 ci offre poi un inquadramento più completo, collocando la capella S. Martini in Arzune entro la giurisdizione ecclesiastica della pieve di S.
Lorenzo in Strada. […] Un passaggio importante si registra nel febbraio 1258, allorquando il vescovo di Rimini concede all’ospedale cittadino di S.
Spirito la pieve di S. Lorenzo in Strada con le sue dipendenze. Il testo non specifica quali esse siano, ma lo si può dedurre dalla bolla pontificia del maggio 1260, tramite la quale viene confermata la concessione indicando, oltre alla pieve, le chiese (allora vacanti) di S.
Martino d’Arzone e S.
Bartolomeo de Ladornaio; conferma pontificia che verrà ribadita nell’agosto 1266. D’altra parte, questa soggezione all’ospedale riminese di S.
Spirito si evince anche dal fatto che nel 1291 e 1292 il priore dell’ospedale versa le decime per gli affari di Sicilia anche a nome della chiesa di S. Martino.
Frattanto, grazie ad una permuta immobiliare, conosciamo il nome del nuovo rettore: Severino (1291). Mentre nel 1309, a seguito dell’accordo intercorso fra le varie chiese dipendenti da S. Lorenzo in Strada circa il riparto delle collette da pagare, si può constatare che quella di S.
Martino è la meglio dotata patrimonialmente, subito dopo la pieve. […] Ma sono tempi duri per le strutture che operano fuori dalle mura urbane (ne sa qualcosa il rettore di S. Martino che, nel 1346, si trova nella impossibilità di versare il censo annuale). Anche il sito di S.
Spirito è oggetto di devastazioni, saccheggi ed incendi, sicchè nel gennaio 1404 Carlo Malatesta provvede a trasferire l’ospedale all’interno della città di Rimini, nel luogo detto ‘la Colonnellina’, affidandolo agli Agostiniani di S. Paolo Eremita residenti nel priorato di S.
Lorenzo a Monte. Subentrati a costoro i monaci di Monte Oliveto, l’ospedale di S. Spirito con i suoi beni (compresa dunque la chiesa di S. Martino d’Arcione) viene loro affidato il 12 dicembre 1430. Nonostante le difficili condizioni del momento (si vedano al riguardo gli assalti, i sequestri e i saccheggi che anche Riccione subisce nel 1443
e 1444), l’officiatura della chiesa di S. Martino prosegue”.
[…] I ritrovamenti archeologici della primitiva chiesa di San Martino “Il controllo periodico del terreno ha consentito di ritrovare i segni dell’antica chiesa di San Martino. La chiesa, ad una navata, con tre altari dedicati rispettivamente a San Martino in Arcione, al Rosario e al Beato Alessio, già fatiscente, crollò in occasione del disastroso terremoto del 1786. Non fu riedificata in loco ma nel Paese vecchio di Riccione, lungo la via Flaminia, dove il borgo andava ampliandosi. È plausibile, almeno sulla base dei ritrovamenti di superficie, che la chiesa fosse edificata sul luogo dell’insediamento romano. Non vi sono elementi per affermare, come pare sia avvenuto per la chiesa di San Lorenzo, che essa sia sorta su un luogo di culto precristiano.
[…] I ruderi della chiesa vennero privati non solo degli arredi liturgici e degli oggetti di culto, tra i quali il sarcofago in pietra del Beato Alessio, trasportato nella chiesa di Paese, ma anche dei materiali da costruzione i quali vennero riutilizzati, come era in uso al tempo. La costruzione della casa colonica di Cavret beneficiò con tutta probabilità di tali materiali, in particolare del grosso ciottolame fluviale. Prima ancora, lo stesso materiale era stato recuperato dal sito romano e utilizzato per la costruzione della chiesa. […] Si ha notizia, ripresa da Luigi Ghirotti nel suo Appunti sulla preistoria e storia di Riccione, che all’interno della chiesa venivano sepolti le persone abbienti e i membri della Congregazione di San Matteo, con distinzione tra il sepolcreto maschile e femminile; all’esterno i poveri e i bambini. Le sepolture in chiesa continuarono anche nel nuovo edificio del Paese di Riccione e nell’attiguo cimitero. L’usanza antichissima di inumare i defunti sotto la pavimentazione della chiesa, luogo sacro per eccellenza, o nelle immediate vicinanze, fu soppressa con un editto napoleonico nel 1806. Nel 1865, anno in cui è possibile far risalire l’origine dei cimiteri moderni, venne stabilito che essi fossero edificati a distanza rispetto agli abitati.
Altra tipologia di oggetti rinvenuti nella zona e correlabili alle sepolture della chiesa sono le caratteristiche medagliette in rame o bronzo con immagini sacre a rilievo, tra le quali figure di santi. Le medagliette assumevano una funzione di protezione personale; venivano fissate agli indumenti, portate a contatto con il corpo fin da neonati e lasciate sul vestiario dei defunti. Tale usanza, molto diffusa nel mondo rurale, è sopravvissuta fino a tempi recenti e non è del tutto scomparsa”.