Tante sono le espressioni del linguaggio biblico e di quello comune dove le mani sono indicate come metafora e simbolo della persona. Il salmista nell’inno cosmico alla creazione nel salmo 18 dice:
“I cieli narrano la gloria di Dio
E l’opera delle sue mani
Annunzia il firmamento.”
La creazione viene presentata come opera delle mani di Dio. Il popolo ebraico che non poteva rappresentare Dio con immagini lo indicava per mezzo della mano che lo proteggeva e lo rialzava nelle avversità.
Nei primi tempi del Cristianesimo, quando la simbologia era molto usata, Dio veniva spesso rappresentato attraverso la sua mano. Nei mosaici di Ravenna, la mano dell’Eterno compare più volte uscendo dalle nuvole: per fermare la mano di Abramo, per consegnare la legge a Mosè, nella bellissima Trasfigurazione simbolica della basilica di Sant’Apollinare in Classe ed in altre rappresentazioni.
Riflettendo sul linguaggio comune, sono innumerevoli le espressioni dove la mano assume pienamente l’identità della persona: chiedere la mano… dare una mano… sono nelle tue mani… tendere la mano…
Il sacerdote don Mario Molari, sostando in preghiera davanti all’urna di Sant’Amato, fu affascinato dall’aspetto delle sue mani. Le paragonò a quelle di un angelo dipinto dal Beato Angelico. nfatti le mani sono la parte del corpo che risalta con maggior evidenza e suscitano, in chi le osserva, una profonda emozione. Incrociate sul petto, conservano ancora tutte le loro nervature con le dita distese e le unghie di color madreperla. Questo sacerdote nativo di Saludecio, volle che l’immagine delle mani fosse posta all’inizio del suo libro intitolato “Sant’Amato di Saludecio” come per indicare al lettore che, attraverso la loro visione, è possibile comprendere meglio quella miniera di notizie racchiuse nel prezioso volume.
Mentre scrivo ho sotto gli occhi la foto di queste mani <+testo_band>che fuoriescono dal saio marrone e dalla mantellina ricamata, mi ricordano, in modo struggente, quel triste pomeriggio del 4 giugno 1997. Ero al capezzale di mia madre morente, nel più assoluto silenzio osservavo il suo viso affaticato dal respiro affannoso, quando lo sguardo si posò sulle sue mani distese sul bianco lenzuolo. Tutto il mio corpo fu attraversato da una commozione profonda e indescrivibile. Quelle mani improvvisamente mi narravano l’intera vita di mia madre. Fui spinto a prendere un foglio e scrivere i sentimenti che si accavallavano nel mio animo.
“Contorte dagli anni e dal lavoro
Ormai stanche, riposano distese.
Una vena scende dal braccio e le attraversa
Come fiume dal delta copioso.
Libro aperto in cui si legge
La storia di un’intera esistenza.
Forti e scavate come roccia
Portano i segni di lunghe fatiche”.
Da quando l’uomo ha incominciato a camminare in posizione eretta, le mani sono diventate la parte del corpo più sviluppata. Non solamente hanno soddisfatto i suoi istinti primordiali come il procacciarsi il cibo e il difendersi, ma hanno realizzato, con meravigliosa interazione, lo sviluppo della sua intelligenza. Il cervello proprio attraverso le mani ha espresso tutte le sue capacità positive e negative: con esse l’uomo accarezza e percuote, solleva ed atterra, salva e uccide. Con esse, attraverso la scrittura, ha trasmesso la sua storia ed i suoi sentimenti più profondi, con la pittura e la scultura ha raggiunto i vertici della bellezza. Con esse ha costruito gli strumenti del suo progresso e li ha utilizzati a favore o a danno dell’umanità intera.
Non è possibile rimanere indifferenti davanti alle mani di Sant’Amato. Forti nel lavoro dei campi, sempre aperte ad accogliere i poveri e i pellegrini, delicate quando lavava i piedi stanchi dei suoi ospiti, amorose quando aiutava chi era nel bisogno o accarezzava quelli oppressi dallo sconforto.
Nelle immagini di Sant’Amato che gli artisti ci hanno lasciato, vediamo le sue mani in atteggiamenti diversi: giunte o alzate in segno di preghiera, stringere il robusto bastone del pellegrino per aiutarsi nel faticoso cammino o il flagello per partecipare più intimamente alla passione di Cristo. Nel quadro della cappella dell’Ospizio le mani sono incrociate sul petto come per imprigionare la gioia che lo pervade.
Anche la morte, che consuma ogni cosa, le ha preservate dalla corruzione. Sono rimaste intatte per ricordare che, anche dopo sette secoli, Sant’Amato è pronto a tenderle a chi Lo invoca.
Come vorrei anch’io averle vicino soprattutto alla fine della mia vita, sentirle stringere le mie fredde per il gelo della morte, accompagnarmi verso la Casa del Padre e giustificare di fronte a Dio giudice, con le sue ricche di opere e di misericordia, le mie troppo vuote di bene e piene di infedeltà.
Luigi Calesini