I matrimoni gay in Italia non sono previsti dalle leggi dello Stato. Perciò non è neanche possibile trascrivere nei registri dello stato civile quelli contratti all’estero. È il senso “asciutto” e lineare della contestatissima circolare che il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha diramato ai prefetti. In sintesi, quelle delibere dei sindaci “che prescrivono agli ufficiali di stato civile di provvedere alla trascrizione dei matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso”, si legge nella circolare, “non sono conformi al quadro normativo vigente”.
Infatti l’ordinamento italiano non prevede matrimoni gay e “la disciplina dell’eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso e la conseguente trascrizione di tali unioni nei registri dello stato civile rientrano nella competenza esclusiva del legislatore nazionale”. Stop, dunque, a quei sindaci che hanno preso – o vogliono prendere – decisioni in merito.
Molto clamore, parecchi insulti ad Alfano, anche se su 8.058 Comuni italiani, neppure uno ogni mille ha detto sì alle trascrizioni. Non sembra effettivamente una delle urgenze dell’attuale situazione, con un’economia allo sfascio, la disoccupazione giovanile a cifre inenarrabili, il contagio dell’ebola temuto come la peste del nuovo millennio, la “guerra mondiale non dichiarata” alle porte, e un territorio massacrato dalla speculazione che ci sta restituendo quel che gli abbiamo fatto…
Non era davvero necessaria la corsa alle dichiarazioni del sindaco Gnassi in favore di un registro delle coppie gay anche a Rimini. Anche se bisogna ben distinguere fra un registro locale di convivenze di coppie non sposate, per le quali sono possibili interventi comunali di carattere sociale, e la registrazione di matrimoni che invece la legge non prevede. I Sindaci infatti sono ufficiali di stato civile; con questo ruolo non rappresentano la comunità locale e i suoi desideri, ma attuano la legge nazionale. Dunque hanno il dovere di osservare le norme, non di abrogarle o modificarle secondo i loro personali orientamenti ideologici. In questo ruolo non sono privati cittadini. Non è dunque compito loro “resistere” o “ribellarsi” a leggi che possono ritenere ingiuste. Questa logica “privata” da parte di chi ha un ruolo di istituzione pubblica ci esporrebbe ad un’altalena di orientamenti a seconda da chi governa, che può leggersi solo come la conclusione di un disfacimento delle istituzioni, al quale stiamo purtroppo assistendo.
Giovanni Tonelli