Il Mare Superum dei latini è diventato nel tempo il mar Adriatico: chiuso da due terre dirimpettaie e confinanti. Per secoli è stata un’importante via di comunicazione verso oriente e un coacervo di culture differenti, triste teatro poi della Seconda Guerra Mondiale.
Esattamente l’8 settembre del 1943 nei confini nord d’Italia, Venezia Giulia e Dalmazia, si consumò una tragedia che coinvose milioni d’italiani e slavi. Loro, vittime dei partigiani jugoslavi di Tito, furono gettati in massa nelle cavità carsiche aperte nel terrreno, meglio note come foibe.
Una giornata per ricordare
Istituita solo nel 2004, quella del 10 febbraio – in ricordo delle vittime delle foibe – è una data destinata a entrare nelle commemorazioni storiche, al fine di conservare e rinnovare labili memorie. “Questa data non deve solo accendere una luce di compassione ma diventare l’appuntamento per riflettere sulla complessa vicenda del confine orientale dal punto di vista storico”, sottolinea Fabio Fiori insegnante e scrittore.
Passato il 27 gennaio (giornata dedicata al ricordo dello sterminio ebreo nell’Europa fascista) qualcuno ha già parlato di “perdita di pregnanza” come accade a qualcosa che si ripete con monotonia. Non c’è novità dove non c’è nulla di nuovo, è necessario riflettere sulla forza di un rito che in primis è meccanismo naturale per tramandare il simbolo, la memoria, i valori di un’intera comunità. Sono due riti che “pesano” di un senso profondissimo, che si rincorrono alla breve distanza di 14 giorni l’uno dall’altro.
Passata la guerra, riconciliarsi con l’Italia Repubblicana non fu difficile, e per parecchio tempo non si parlò di queste vicende, si chiuse un occhio davanti alla storia, si spazzarono sotto il tappeto i ricordi. Poi arrivò il giorno della Memoria, carico d’immagini di uomini scheletrici e valigie abbandonate, e il giorno del Ricordo che ripercorre l’itinerario delle foibe. Oggi la memoria ha un valore.
Rimini ricorda le foibe
Rimini, l0 febbraio. Da tempo questa giornata è presa a pretesto per sviluppare dibattiti e manifestazioni, attraverso efficaci strumenti che mettono a fuoco la memoria, come il cinema. Appena un anno fa, alla cineteca di Rimini fu proiettato La città dolente un film di Mario Bonnard, alla cui stesura della sceneggiatura collaborò Federico Fellini.
Quest’anno si è pensato di proporre delle brevissime proiezioni lasciando lo spazio al discorso storico dal titolo “Esperienze di confine. Il dolore dell’esilio, le vicende complesse del confine orientale”.
A organizzare l’evento, l’Istituto per la storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea di Rimini.
Lo sguardo verso l’Istria
Un ulteriore passo da fare è allungare lo sguardo verso l’orizzonte, dove si apre l’Istria: “Mare e campagna, campi che mescolano il loro verde all’azzurro del mare, insenature di mare turchine che penetrano nel verde della campagna: questa è l’Istria”, ricorda lo scrittore triestino Giani Stuparich. In questa penisola si sono alternati illirici, greci, romani, bizantini, sloveni, croati e italiani… solo più tardi arrivò il tragico appuntamento con la crudeltà della storia. Lo storico Guido Crainz sottolinea: “Il dramma del novecento ci aiuta a fare i conti con chiusure intellettuali, con «muri mentali» consolidati e robusti”.
I cosiddetti “muri” sono stati abbattuti da uomini di diversa nazionalità che grazie alla loro esperienza personale e al loro insostituibile lavoro hanno costruiti ponti adriatici capaci di attraversare non solo il mare, ma di superare le rozze ideologie etniche.
L’ “esperienza di confine” trasformata in ponte è quella di Giacomo Scotti nato a Saviano nel 1928 e stabilitosi giovane a Fiume. Ora è diventato un artista a 360° da scrittore a poeta. Il suo contributo più importante lo diede alla ricostruzione della tragica vicenda del gulag jugoslavo di Goli Otok, l’isola Calva. Ha scritto diversi libri sulla vicende istriane e dalmate, strettamente intrecciate con quelle italiane come Dossier Foibe o Goli Otok, italiani nel gulag di Tito per i quali si sono innescate una serie di polemiche e proteste, rese ancora più dure dall’atteggiamento negazionista dell’autore.
D’altra natura sono stati i rapporti italiano-slavi prima delle due guerre mondiali: l’Adriatico non era solo elemento di divisione ma anche via di comunicazione tra i porti delle rispettive sponde. “Oggi il rapporto tra Rimini è la Croazia è meramente turistico, ma non dobbiamo dimenticare il passato. Nel ’700 i rapporti con Pola e Fiume erano saldi e continui: lo zolfo estratto da Perticara andava tutto in ex Jugoslavia mentre noi caricavamo il carbone e la famosa pietra d’Istria usata anche nel tempio malatestiano”, conclude Fabio Fiore che al riguardo ha scritto diversi libri tra cui Il mare nelle mani, Abbecedario adriatico. Natura e cultura delle due sponde
Marzia Caserio