Nel 2016 sono state quasi 600, 484 donne e 116 uomini, le persone in cerca di un’occupazione da badante, che si sono iscritte per la prima volta al servizio dell’Assistente in Famiglia, lo sportello del Comune di Rimini che supporta la persona non autosufficiente, o parzialmente non autosufficiente e la sua famiglia nella scelta di ricevere assistenza al proprio domicilio individuando una persona competente e referenziata.
La maggior parte di loro proviene da paesi dell’Est europeo, ma risulta anche una significativa percentuale di italiani che si sono rivolti agli sportelli disposti a trovare un lavoro nell’ambito dell’assistenza. Nello specifico gli italiani sono secondi per numero (187) superati solo dall’Est Europa (238).
“Nel 2017 – commenta Viola Carando, operatrice dello sportello riminese – sono stati 499 i nuovi iscritti, un numero inferiore rispetto all’anno precedente, quando a iscriversi furono 598 persone. Ma la vera difficoltà sta nell’individuare personale referenziato, competente e in un’età lavorativa consona: diciamo dai 20 ai 55 anni al massimo, disponibile a convivere a casa con la persona malata. I dati del 2017, infatti, parlano di 309 richieste di assistente familiare a tempo pieno contro le 132 richieste di personale «a ore»; le 88 per il «solo giorno»; le 36 per la «sola notte» e le 66 per «sostituzione temporanea» di un altro assistente familiare”.
Dall’altra parte della barricata, nell’ultimo anno 382 famiglie si sono rivolte per la prima volta allo sportello segnando un aumento rispetto all’anno precedente che ne aveva registrate 351.
“Questi numeri fanno riferimento solo alle nuove registrazioni – continua Viola Carando – si deve infatti tenere presente che centinaia di famiglie fanno ritorno nel corso del tempo ripresentandosi con nuove richieste o esigenze (confronto per la risoluzione di conflitti createsi nel tempo, ricerca di personale per sostituzione estiva, scelta di nuovo personale in base alle mutate condizioni dell’anziano, etc). Si tratta di un numero significativo che conferma il costante incremento del bisogno di assistenza domiciliare qualificata da parte delle famiglie del territorio, interessate a confrontarsi con operatori esperti sui numerosi aspetti e problematiche ad essa correlate”. E poi ci sono gli uomini… “Quelli con esperienza provata, referenze e capacità nella gestione della casa, dei pasti e della cura sono facilmente collocabili – commenta la Carando – poiché in grado di gestire con minor difficoltà carichi fisicamente pesanti (persone non autosufficienti) e in grado di interagire con più facilità con anziani caratterialmente difficili, specialmente con le donne. In base alla nostra esperienza, l’inserimento di un assistente familiare uomo in molti casi è calmierante e risolutivo di situazioni complesse sia da un punto di vista fisico che, soprattutto, psicologico”. Questo mestiere volge al maschile? Forse, visto che quest’anno i corsi di assistenza e cura organizzati dal servizio (partiti il 9 febbraio) per formare il personale da collocare verranno condotti da un O.s.s. uomo. Tra gli iscritti (una quindicina) infatti moltissimi uomini, ragazzi giovani spesso stranieri, desiderosi di formarsi in materia di cura della persona non autosufficiente, della gestione e pulizia della casa, della dieta e della preparazione dei pasti.
Ma cosa si nasconde
dietro a questi numeri?
A parlarcene è padre Cristian Coste, assistente spirituale della Comunità Rumena Grecocattolica a Rimini. Impegnato nella benedizione delle case, quasi cento le famiglie rumene in diocesi, ci racconta quanto sia difficile il rapporto tra le donne che oggi accudiscono i nostri cari e la famiglia che hanno “abbandonato” alla cura dei parenti. “Stiamo parlando di madri che lasciano i loro figli ai nonni oppure ai padri. Mi sono capitati casi di richieste di divorzio da parte dei mariti”. In generale si tratta di una situazione difficile. Queste donne che stanno 15-20 anni fuori casa, quando tornano cosa trovano? “Si trovano isolate, con famiglie che non sono più le stesse e che sono andate avanti senza di loro. Poco tempo fa una donna mi ha raccontato che quando è tornata a casa per stare con i suoi figli si è sentita dire dai figli stessi di tornare in Italia a lavorare, perché i soldi non bastavano più”. Guardare oltre i numeri vuol dire questo. Vuol dire pensare che queste donne trattengono per loro stesse dai 50 agli 80 euro al mese, mandando tutto il resto a casa; vuol dire ragionare seriamente sul problema della messa in regola del loro lavoro, “vuol dire ragionare – termina don Cristian – sulla possibilità di far venire in Italia i mariti. Perchè dopo di loro arriverebbero anche i figli e non si correrebbe il rischio di perdere una famiglia”.
Angela De Rubeis