Dopo la giornata del lavoro (1° maggio), accompagnata dal grido di dolore di tanti imprenditori, turismo compreso, che non trovano il personale che cercano, è giunta l’occasione di fare il punto sulla situazione lavorativa in provincia di Rimini.
Seppure con alti e bassi, l’occupazione provinciale, nell’ultimo decennio, è cresciuta fino al 2018, poi, improvvisamente, è scesa, ben prima, quindi, che arrivasse il Covid, per subire un ulteriore scossone dopo le chiusure imposte dalla pandemia. La perdita, in un solo anno, il 2019, di 3.000 posti di lavoro è stato un fenomeno esclusivamente riminese, perché lo stesso non è accaduto nelle province di Forlì-Cesena e Ravenna. E nemmeno nel resto dell’Emilia-Romagna, dove l’occupazione, sempre prima del Covid, è continuata a salire.
Scontato l’effetto virus, i primi dati del 2021 indicano, per fortuna, una ripresa: gli occupati provinciali sono risaliti a 145.000, con un più 4.000 sul 2020. Per tornare, però, ai livelli del 2018, quando si è raggiunto il tetto, mancano ancora 7.000 posti.
Altra notizia positiva: i disoccupati scendono da 15 a 12.000. Di cui 5.000, in maggioranza donne, immediatamente disponibili al lavoro. Ma questo non vuol dire che abbiano le competenze giuste per i posti vacanti. Da qui le lamentele degli imprenditori.
Comunque due risultati che migliorano sia il tasso di occupazione, che risale da 63.2 a 65.8 per cento, sia quello di disoccupazione, che scende da 10.0 a 7.4 per cento.
Recupero che purtroppo non modifica la posizione relativa della provincia di Rimini, sempre all’ultimo posto in regione, sia per il tasso di occupazione (più basso), sia per quello di disoccupazione (più alto), e rispettivamente al 34° posto tra le province italiane (che sono 107) per il primo e al 48° per il secondo.
I settori di attività dove, nel 2021, la ripresa si è notata di più sono stati: commercio, alberghi e ristoranti, con oltre 9.000 attivazioni (avviamenti) di nuovi rapporti di lavoro; seguito da altre attività dei servizi, con 5.000 nuove attivazioni; infine la manifattura con meno di 2.000 (è bene precisare che le attivazioni corrispondono al numero dei contratti e non alle persone, che nel corso dell’anno possono averne più d’uno).
Infatti, delle circa 17.000 nuove attivazioni di rapporti di lavoro provinciali 2021, che in totale sono state 86.000, quelli a cui è stato offerto un contratto a tempo indeterminato sono meno di 500: non arrivano al 3 per cento del totale. Tutti gli altri sono stati assunti con contratti brevi.
Poi ci sono i lavoratori intermittenti, che non rientrano tra quelli citati, perché si riferiscono a prestazioni di carattere discontinuo, secondo le richieste dell’impresa. Nel 2021 le assunzioni di questo tipo, in provincia di Rimini, sono state 23.000, quasi 4.000 più dell’anno prima, ma ancora sotto il tetto raggiunto nel 2019 (29.000). Infine, le nuove attivazioni per nazionalità: un terzo corrisponde a cittadini stranieri (Fonte: Agenzia Regionale del Lavoro).
Le donne
Recupero a parte (sono delle donne metà dei nuovi avviamenti 2021), a pagare lo scotto maggiore del calo occupazionale locale, pre e post pandemia, è stato il genere femminile, che dopo avere recuperato, rispetto agli uomini, posizioni nella seconda metà dello scorso decennio, si ritrovano, già nel 2019, con 5.000 occupate in meno rispetto l’anno prima (da 71 a 66.000). Una decrescita che proseguirà con il Covid, quando le stesse donne, insieme a giovani e immigrati, risulteranno le più penalizzate, subendo una ulteriore flessione di 4.000 posti. Vuol dire che in due anni, 2018-2020, a Rimini, ci sono 9.000 donne occupate in meno.
Una regressione che riporta la forbice (distanza) tra il tasso di occupazione (numero di persone al lavoro ogni cento) maschile e femminile agli stessi valori, 19 punti di differenza, d’inizio decennio. In termini di recupero della parità di genere vuol dire un decennio perso.
I giovani
Con le donne, i giovani sono stati tra i più colpiti dagli effetti della pandemia. Nel 2019, virus ancora in cammino, presi cento giovani di età compresa tra 18 e 29 anni, avevano conseguito un lavoro: 46 in provincia di Rimini, 54 a Forlì-Cesena e 51 a Ravenna, a fronte di una media regionale di 51 e nazionale di 39. Rispetto al 2010, pur in presenza di un decennio con un andamento positivo dell’occupazione complessiva, per i giovani non c’è stato nessun beneficio, vista la caduta generale del loro tasso di occupazione. La pandemia, nel 2020, ha quindi proseguito e approfondito una tendenza che era già in atto. Causa Covid, in Emilia-Romagna il tasso di occupazione giovanile è sceso di tre punti percentuali, che sono diventati però cinque a Ravenna e sei a Rimini (12 se il punto di partenza è il 2010), dove continua ad essere il più basso, mentre la situazione è rimasta stazionaria a Forlì-Cesena.
Le lavoratrici domestiche
Gestiscono una parte importante del nostro benessere familiare. Le abbiamo in casa per aiutarci a fare le pulizie, oppure ad assistere qualche familiare, spesso anziano o malato, ma di loro si parla poco. Eppure non sono poche. In provincia di Rimini, a fine 2020, quelle registrate presso l’Inps, vuol dire parzialmente o totalmente in regola, erano 5.627 (meno di 2.000 colf, il resto badanti), all’incirca lo stesso numero di dieci anni prima.
Nemmeno nel pieno della pandemia abbiamo potuto fare a meno di loro. Un lavoro gravoso e con orari non proprio contrattuali (spesso superiori a 60 ore settimanali), salari che raramente raggiungono 1.000 euro (4 euro l’ora), che viene svolto prevalentemente da donne: 93 su 100. Di cui tre quarti donne immigrate e una su cinque laureata. Per oltre quattro quinti provenienti da paesi dell’Est Europa, compreso tante ucraine. Non sono donne giovani: due terzi hanno una età superiore a cinquant’anni e spesso lasciano a casa la famiglia, cui inviano i risparmi, per aiutarla a migliorare la propria situazione. Che la guerra in Ucraina, un effetto collaterale, ha totalmente vanificato. Il lavoro domestico produce anche un logoramento psicologico non indifferente: il 39 per cento soffre di insonnia, mentre il 34 per cento delle donne afferma di soffrire di ansia o depressione (Ricerca Acli Colf, 2016).
I lavoratori stranieri
Nel 2020, i lavoratori dipendenti stranieri attivi (compreso quelli domestici) in provincia di Rimini sono complessivamente 23.000 (erano 26.000 prima della pandemia), di cui 17.000 provenienti da paesi extra UE e il resto da altri paesi della stessa Unione Europea. Considerando un totale di lavoratori dipendenti del settore privato, compresi quelli agricoli, di 108.000 unità, vuol dire che gli immigrati ne rappresentano un quinto. I lavoratori dipendenti extra UE del territorio sono impiegati principalmente: 889 in agricoltura, 13.497 nel settore privato, turismo compreso, 2.860 come lavoratori domestici. In agricoltura e nel settore privato guadagnano intorno a 10.000 euro lordi l’anno. Che scendono a 8.000 euro per i lavoratori domestici (Fonte: Inps, Osservatorio sugli stranieri).