Un mondo che sta cercando di abbattere le barriere della disuguaglianza, c’è ancora una domanda fondamentale che rimane sospesa: Perché le donne continuano a lottare per ottenere pari opportunità sul posto di lavoro? Tra difficoltà quotidiane, discriminazioni invisibili e la fatica di bilanciare carriera e vita familiare, il cammino verso la vera parità è ancora un percorso in salita.
“Nell’ultimo anno, in provincia di Rimini, le dimissioni volontarie registrate sono state 369 – sottolinea Adriana Ventura, consigliera Pari Opportunità del Comune di Rimini, e sono state rassegnate in periodo protetto, ovvero riguardano lavoratori padri e lavoratrici madri che si dimettono entro i tre anni del figlio. Il principale motivo? L’ormai ridondante mal conciliazione tra le esigenze professionali e quelle famigliari. Ecco perché la mia relazione sul tema quest’anno ha un titolo provocatorio: La conciliazione è possibile o è un mito come l’unicorno? Siamo ancora lontani dall’estinguere questo evidente problema.
Sebbene le specifiche siano ancora in attesa di essere distinte dal report annuale nazionale dell’Ispettorato del lavoro, che sarà disponibile a giugno, si possono già prevedere le percentuali di genere”.
La conciliazione casalavoro si riferisce alla capacità di una persona, e in particolare delle donne, di gestire in modo equilibrato le richieste della vita professionale con quelle della sfera privata.
Per molte donne, questo significa dover affrontare orari di lavoro rigidi, spostamenti, e la carenza di servizi di supporto, come asili nido o permessi per la cura dei figli.
La difficoltà diventa ancor più evidente quando le politiche aziendali non si adattano alle esigenze di una famiglia, portando le donne a sentirsi costrette a scegliere tra carriera e famiglia. La situazione non è sempre favorevole nel settore pubblico, dove la flessibilità e la commolto prensione da parte dei datori di lavoro sono inferiori al settore privato.
“I datori di lavoro privati, infatti, – commenta a margine la Ventura – sembrano essere più inclini a trovare soluzioni pratiche”.
Come, ad esempio, la possibilità di lavorare da remoto o di adattare gli orari.
Nonostante questi segnali positivi, la strada verso una vera parità di opportunità è ancora lunga.
Nel corso dell’ultimo semestre, l’Ufficio Pari Opportunità ha registrato circa una trentina di casi. Tra questi, ci sono anche tre denunce per molestie sessuali, due delle quali sono ancora in corso di giudizio.
La terza, invece, ha visto un esito positivo per la vittima, con una sentenza favorevole in Cassazione.
Diventato quasi un emblema del tema, questo caso riguarda una dipendente di un Ente pubblico locale che, nel 2020, ha subìto molestie sessuali da parte di un collega, e a dicembre 2024 si è vista riconosciuta la vittoria nei tre gradi di giudizio. La Corte ha ribadito con forza la responsabilità delle istituzioni nel proteggere le lavoratrici da qualsiasi forma di abuso discriminazione, esigendo che i datori di lavoro prendano misure concrete per prevenire e contrastare le molestie sul luogo di lavoro. riferimento a questo, nel 2022 e 2023, l’Istat ha stimato che il 13.5% delle donne tra i 15 e i 70 anni abbia subìto molestie a sfondo sessuale sul lavoro, soprattutto le giovani: offese, proposte e sguardi inappropriati. 298.000 le donne che hanno subìto ricatti sessuali: il 15% del totale hanno ottenuto un lavoro, o un avanzamento di carriera. Chiara Bellini, vicesindaca con delega alle Politiche di genere, ha commentato: “Le molestie sul lavoro sono una forma di prevaricazione umiliante, che denota una grande arretratezza culturale. Lo sfruttamento di una posizione di potere, di ruolo o di superiorità economica portano danni sociali e lavorativi, ma soprattutto un disagio profondo nel corpo e nell’anima delle donne”.