Home Donne LAVORATRICI INDIPENDENTI: IN 10 ANNI AUMENTATE DEL 3%. MA CHE FATICA!

LAVORATRICI INDIPENDENTI: IN 10 ANNI AUMENTATE DEL 3%. MA CHE FATICA!

Le donne iscritte alla gestione separata dell’Inps o ad altre Casse pensionistiche, nel 2023, erano 2.571 e coprivano il 40% del totale della categoria

Tra i 145.000 occupati provinciali, quelli che svolgono un lavoro in autonomia sono 39.000. Poco più di un occupato su quattro. Un tempo erano di più. Ma dire lavoratori indipendenti è troppo vago, perché al loro interno esistono gli autonomi classici (artigiani, commerciati e agricoltori) e poi ci sono tutti gli altri che lavorano con partita iva e altre forme (avvocati, geometri, giornalisti, ecc…), di solito iscritti alla gestione separata dell’Inps, oppure muniti di casse professionali autonome. Accanto ci sono le donne imprenditrici, prevalentemente nel settore dei servizi.

Le autonome classiche Gli autonomi provinciali classici sono complessivamente, a fine 2023, 31.000, di cui più di 10.000 costituiti da donne, con una netta prevalenza di commercianti, seguite da artigiane e lavoratrici agricole.

Nell’ultimo decennio il loro numero si è ridotto di un quinto. È accaduto lo stesso, ma in forma ridotta, per i maschi.

Quasi ci fosse stata una selezione di mercato, mentre le autonome classiche diminuivano, il loro reddito da lavoro però aumentava in tutte le categorie. Ma questa crescita, pur positiva, non è bastata a pareggiare i redditi maschili, che sono più 20% circa sopra per un artigiano e un commerciante e più 6% un agricoltore. Settore, quest’ultimo, dove la parità di genere è relativamente più vicina. Ma è anche quello dove si guadagna meno.

Le altre autonome In aggiunta alle classiche ci sono le altre lavoratrici indipendenti, con partita iva o altre forme contrattuali di collaborazione autonoma, iscritte alla gestione separata dell’Inps o altre casse pensionistiche. In assoluto, nel 2023, sono 2.571 e coprono il 40% del totale della categoria. Diversamente dalle autonome classiche non sono in calo, ma in leggera crescita: più 3% nell’ultimo decennio. Al contrario, gli uomini nella stessa condizione sono dati in calo. Crescita che è avvenuta soprattutto grazie al quasi raddoppio delle professioniste e, in misura minore, alle donne con incarichi elettivi. Calano, invece, di oltre un terzo le collaboratrici. Nel complesso il saldo, come sottolineato, è comunque positivo. A rappresentare oggi questo segmento di autonome ci sono: 1.303 professioniste (numero in cui non sono comprese le iscritte alle casse autonome, che nel 2021 erano 754, secondo Confprofessioni), 585 collaboratrici e 551 impegnate in cariche elettive (parlamentari, consigliere regionali, provinciali, comunali, ecc…). Ad esclusione delle titolari di incarichi elettivi, che si portano a casa un reddito medio annuo di 49.000 euro, professioniste e collaboratrici guadagnano molto meno: 17.000 euro le prime ed appena 8.000 euro le seconde. Anche in questo caso agli uomini, a parità di condizione professionale, va sempre qualche migliaio di euro in più. Questo per sottolineare che, lavoratrici dipendenti o autonome, per le donne la parità di genere non è ancora arrivata.

Imprese femminili Se essere una lavoratrice autonoma richiede una discreta dose di intraprendenza, caricarsi sulle spalle una impresa è un ulteriore carico di impegno e responsabilità. Attualmente sono 7.647 le imprese femminili in provincia di Rimini, equivalente ad una ogni cinque di quelle attive a fine 2024.

Contrariamente a quanto accaduto nelle altre province della Romagna, nell’ultimo decennio, a Rimini, sono aumentate di un paio di centinaia, mentre altrove diminuivano. Le attività dove maggiormente si concentra l’imprenditorialità delle donne sono: commercio al dettaglio 1.625 imprese, attività di servizi alla persona 846, attività immobiliare 750, ristorazione 702, coltivazioni agricole 485 e commercio all’ingrosso 476.

A scendere tutte le altre attività.

DONNE TRA NUMERI E TECNOLOGIA

Nel 2023, in provincia di Rimini, si sono laureate 1.161 donne e 771 uomini. Un sorpasso tutt’altro che recente perché risale almeno all’anno Duemila. Per una serie di ragioni storico-culturali, cui non è estraneo l’ambiente socio-familiare, è risaputo che le donne, nel loro percorso di studi, sono più propense a carriere umanistiche che tecniche (con la conseguenza, che essendo queste più pagate, forniranno la base per future discriminazioni di genere).

La presenza femminile è maggioritaria tra gli

immatricolati all’università, ma solo il 20% si iscrive a corsi STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica). Tanto è vero che, a livello nazionale, di tutte le donne laureate, quelle che nel 2022 hanno conseguito il titolo in Scienze naturali, Fisica, Matematica e Statistica si fermano al 4,5%.

Ma sono ancora meno le donne laureate in Informatica e Tecnologie Ict: appena lo 0,3%. Conseguenza: nelle aziende, le donne occupate come specialiste Ict sono il 15,7% del totale, quattro punti sotto la media europea. La situazione va migliorando, ma molto lentamente. Forse qualcosa sta cambiando se nel 2023 le donne iscritte in corsi di laurea del gruppo scientifico sono

il 57,4% del totale. Mentre le ricercatrici universitarie in Scienze fisiche e chimiche rappresentano il 46,4% del totale (Istat).

In questo campo il divario inizia da piccole (alle scuole medie), come confermano i dati sul livello insufficiente di competenze numeriche, quasi sempre al di sotto di quello dei maschi (anche se non brillano nemmeno loro).