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Lavoratori riminesi umiliati dal fisco

Mario è un impiegato che guadagna 1.300 euro al mese. La sua busta paga registra in un anno (con tredicesima e quattordicesima) un reddito lordo di 24.500 euro. Oltre la metà di questa cifra se ne va in tasse, ossia 12.579 euro, il 51,3%. Ogni mese il nostro lavoratore dipendente deve versare al fisco 1.050 euro. Per vivere gliene restano solo 993 circa. In sostanza, 187 giorni del suo anno lavorativo vengono impiegati non per guadagnare, ma per mantenere le pubbliche istituzioni.
La situazione di Giovanni che di soldi al mese ne prende 2.500, non è più rosea. Su un reddito lordo annuo di 56.300 euro circa, lascia allo Stato e ad altri enti impositori addirittura il 55%, ossia 31.300 euro. 2.600 euro ogni mese sfumano in tasse mentre riesce a trattenere per sé poco più di 2.000 euro. Con questi numeri dovrà lavorare fino a 202 giorni in un anno, e solo per lo Stato.

Non è fantascienza. Il quadro impietoso che emerge da questi due casi è il frutto dell’indagine statistica realizzata dalla Fondazione dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Rimini e presentata nei giorni scorsi alla sede dell’Ordine dei Commercialisti di Rimini.
L’obiettivo è quello di mettere in luce, sottolinea il presidente Giuseppe Savioli, “come il prelievo fiscale in Italia sia talmente impressionante da sfuggire al buonsenso”. In Italia come a Rimini che, secondo Savioli, “è in linea con il resto del paese”. Se poi si considera che l’Italia è lo Stato che in rapporto al Pil soffre la pressione fiscale effettiva (al netto dell’economia sommersa, quella che appunto le tasse non le paga) più alta d’Europa, e che in Europa il prelievo è più pesante che nel resto del mondo, si intuisce bene quanto anche i riminesi siano penalizzati a livello internazionale.

Oltre cento tasse sul groppone. Ma come è arrivata, la Fondazione dei Commercialisti di Rimini, a stimare i prelievi sui nostri Mario e Giovanni?
Incrociando le tasse che questi due profili-tipo di lavoratori dipendenti riminesi sono costretti a pagare (oltre cento), con i loro stili di vita e le ipotesi di consumo desunte dai dati Istat. All’esame della Fondazione, non solo le imposte dirette che gravano su questi due prototipi di lavoratori dipendenti, ma anche tutto quel marasma complesso di imposte indirette che Mario, Giovanni e ogni altro dipendente assolvono quotidianamente, da quando si alzano fino a quando vanno a dormire. Tasse che vengono versate a Stato, Regione, Provincia e Comune di residenza, ormai inconsapevolmente: istruzione, Iva, auto e carburanti (una delle voci più gravose), fino al canone tv. Per Mario queste imposte indirette rappresentano oltre 6.300 euro su un totale di oltre 12.500 euro di pressione fiscale; per Giovanni, oltre 9.800 euro su oltre 31.200 euro.
Sia Mario che Giovanni hanno una moglie non fiscalmente a carico (perché con reddito superiore a 2800 euro) e un figlio che frequenta l’università. Entrambi hanno un posto fisso, percepiscono quattordici mensilità, possiedono una casa di proprietà e un’autovettura di media cilindrata (1.400 cc). Ma se Giovanni (che ha in banca 100mila euro) riesce a concedersi qualche cena al ristorante e qualche vacanza con la famiglia, lo stesso non vale per Mario (50mila euro di depositi bancari) che ha uno stile di vita molto sobrio. Eppure più della metà del suo reddito va al fisco.

Come pensare, di fronte a questi risultati, che possano riprendere i consumi?
Senza voler entrare nel merito della qualità delle prestazioni che un prelievo del genere, forzoso e coattivo, vede ripagata dai servizi pubblici, è fuori dubbio – osserva il presidente della Fondazione dei Commercialisti – che il blocco dei consumi percepito dalle categorie commerciali in questo periodo di crisi, ha la sua piena giustificazione in una pressione fiscale che umilia il lavoro e che rende difficilissimo destinare una porzione di stipendio a qualsivoglia acquisto che non sia di fondamentale necessità”.
Mario e Giovanni, poi, sono casi-studio relativamente fortunati, con tanto di tredicesima e quattordicesima ed un posto fisso, vantaggi non scontati in questo difficile periodo. Come sappiamo, negli ultimi anni contrassegnati dalla crisi, è aumentato il popolo dei cassaintegrati e dei disoccupati.

Parallelamente è aumentato però anche il carico della pressione fiscale in generale. Sulle imprese riminesi la Fondazione dei Commercialisti riminesi conduce da anni uno studio sulle società di capitale, che nell’ultimo anno ha fatto emergere come il prelievo fiscale arrivi ad incidere sul loro reddito per oltre il 100%, superando i guadagni. Sui lavoratori dipendenti riminesi non è ancora possibile verificare statisticamente se questo aumento è avvenuto, spiega Savioli, perché l’indagine è stata realizzata solo per il 2013. “È però obiettivo della Fondazione – conclude il presidente – portare avanti questo studio anche per i prossimi anni così da monitorare il trend”.
Nel frattempo una cosa è certa: se Luigi Einaudi sosteneva che “il denaro del contribuente deve essere sacro”, lo stesso non si può dire per Rimini e il BelPaese.

Alessandra Leardini