Adolescenti e cellulare, un binomio capace di spaventare qualsiasi genitore, e non sempre a torto. Perché se è vero che alcuni genitori sono iper apprensivi, dall’altra parte, l’utilizzo indiscriminato dei social può portare a situazioni di pericolo per i ragazzi.
Proprio per arginare questi rischi, mettendo i ragazzi a conoscenza delle insidie di alcuni social, la polizia locale è “entrata” nelle scuole con il progetto “Ragazzi in comune”, giunto quest’anno alla seconda edizione. L’anno scorso il progetto si è concentrato sulla sicurezza in strada, mentre quest’anno sulla social education.
“In questo secondo anno siamo entrati nelle scuole in un modo particolare – racconta Carla Tavella, Ispettore superiore Polizia Locale Rimini – abbiamo infatti deciso di approfondire alcuni argomenti legati all’uso delle chat che i ragazzi utilizzano molto frequentemente, sfruttando le competenze e le conoscenze dei ragazzi del Liceo Classico Psicopedagogico Cesare Valgimigli di Rimini. Ragazzi che sono stati preparati, facendo un corso di approfondimento con la psicologa Diana Vannini, e poi, sono andati come tutor in due scuole medie, la Dante Alighieri e la Enrico Fermi di Rimini, facendo lezione a circa 800 ragazzi di prima e seconda”.
“Il progetto è molto importante – continua Carla Tavella – si pensa che in prima media gli studenti siano troppo giovani mentre invece è giusto che conoscano i rischi degli strumenti che hanno sottomano”.
Per avere un linguaggio efficace e non retorico, quindi, sono stati i ragazzi i principali interlocutori, e lo hanno fatto sia attraverso il dialogo e il confronto che attraverso dei video. Tre quelli realizzati dagli studenti con l’ausilio dell’operatore Simone Felici e della regista Daniela Luparelli, su altrettanti argomenti: chat, sexting e challenge.
“L’utilizzo dei video – ci spiega Diana Vannini – è stato fondamentale per coinvolgere i giovani attraverso un linguaggio divertente e immediato. Anche perché la tecnologia viaggia veloce ed è necessario che siano i ragazzi a parlarne. In più, il fatto che i ragazzi stessi portassero le loro esperienze con i più piccoli è stato molto importante sia per loro, che per noi, per avere una mappa più precisa di quello che accade”.
Ma quali sono davvero i pericoli dei social per i ragazzi?
“Quando siamo andati nelle scuole abbiamo fatto un gioco – racconta Carla – abbiamo chiesto ai ragazzi quali informazioni personali mettessero sui loro canali, per vedere quanto si fossero esposti. All’inizio le risposte erano evasive e la maggior parte era convinta di non condividere nulla di compromettente. Poi è venuto fuori che tutti mettono online almeno il nome, il cognome, l’età e una foto.
Abbiamo poi chiesto se sapessero cosa fosse l’adescamento. I ragazzi di prima e seconda non lo conoscevano, e a quel punto gli abbiamo fatto capire cosa comportasse e quali rischi si corrono quando si mettono online troppe informazioni. Da una foto e da una scuola, o da una palestra, un malintenzionato può andare ad aspettarli fuori, inventarsi una storia di un genitore che non è potuto andare, prenderli per mano e farli salire in macchina”.
A queste spiegazioni gli alunni di prima e seconda media rispondono che se qualcuno che non fosse il loro genitore si avvicinasse, loro si difenderebbero con calci e pugni. Nel frattempo un altro vigile presente alle lezioni prende per mano un ragazzo portandolo da una sedia all’altra, senza che questo reagisse. Per tutti è stata la conferma che poteva esserci un pericolo.
”Fare social education serve proprio a riflettere su questi temi – conclude la psicologa Vannini – quello che mettiamo sui nostri social non è scritto sul nostro diario segreto, ma ha una diffusione molto ampia, allo stesso modo quello che scriviamo nelle chat rimane. Negli adolescenti, inoltre, il meccanismo è anche cerebrale. Fino ai 25 il cervello non ha completato la maturazione. Di fronte ad una qualsiasi attività un adolescente tende a sottostimare i rischi e ad enfatizzare i guadagni che può ottenere. Questo, ad esempio, è il grande pericolo delle challenge, le sfide che fanno per ottenere like e approvazione dai coetanei. Stesso atteggiamento per l’adescamento. La possibilità di conoscere un ragazzo più grande che mette un like o un cuore ai propri post, crea delle grandi aspettative”.
La polizia locale di Rimini ha riassunto il lavoro fatto con i ragazzi in un piccolo vademecum che può essere scaricato dal sito della polizia locale, insieme ai tre video: http://www.poliziamunicipalerimini.it/social
Chat, sexting e challenge
Diana Vannini ci spiega cosa sono chat, sexting e challenge, gli argomenti sui quali si è focalizzato il progetto.
“Il sexting è lo scambio di immagini intime tra ragazzi, parliamo di foto senza veli. E’ una pratica piuttosto frequente, che a volte rimane confinata tra fidanzati, ma spesso la foto viene diffusa, andando a ledere la privacy e l’intimità della persona”.
“Per social challenge si intendono tutte quelle pratiche, spesso e volentieri pericolose che i ragazzi fanno per ottenere visibilità e like, riprendendosi con un telefonino e sfidando situazioni varie, dalle più estreme, come le foto scattate sui grattacieli e binari del treno ad altrettante pratiche non sempre così banali, come ingerire cannella, aspirare polvere, tutte situazioni assurde che si prestano a rischi, spesso banalizzate dalla goliardia dei ragazzini che sappiamo essere adolescenti e quindi non tanto capaci di stimare i pericoli”.
“Infine le chat le conosciamo tutti, sono un tema fondante delle relazioni di oggi, perché quasi tutte le relazioni sono mediate da uno schermo. Ed il problema non è solo per i ragazzi”.
Rei Shuteriqi è uno studente del quarto anno del Valgimigli che ha fatto da tutor.
“I ragazzi di prima e seconda media sono molto preparati e conoscono già molte challenge, alcune per noi sconosciute, come ad esempio la chubby bunny, che consiste nel mettersi in bocca più marshmallow possibile e provare a parlare”.
“Ci sono poi strumenti molto ambigui – precisa Diana Vannini – come Mico, un social usato per chattare in modo completamente autonomo con gli sconosciuti. Viene utilizzato anche per scambiarsi video, spesso di natura pornografica. Parlando di questo social agli studenti di prima e seconda media è venuto fuori che alcuni lo conoscevano”.
Ma cosa si può fare di fronte a queste situazioni?
“Il consiglio che abbiamo dato a tutti quanti è di non aver paura di parlare con i genitori, insegnanti, o anche con gli amici più grandi – dice Piero Munaretto, Polizia Locale di Rimini – Avere un consigliere è fondamentale, perché una delle tattiche di chi ci vuole approcciare è quella di isolarci, di creare un rapporto di fiducia tra me e te senza nessun altro. Se i figli parlano e raccontano quello che succede, tutto diventa più facile e certi meccanismi non possono essere attuati”.