Due figure, un solo artista. È Piero della Francesca, inquadrato dal riccionese Pasquale D’Alessio con il verso e la prosa, appunti sulla vita e un Piero immaginario che si racconta. Tutto questo in un solo libro Piero della Francesca – Sorella Prospettiva – Inizio di Piero, l’ottavo libro di Pasquale D’Alessio, edito da CartaCanta- Capire Edizioni.
Il volume vive di due momenti. Nella prima parte, l’autore, usando il linguaggio del verso poetico, si è immaginato di essere un Piero bambino, ragazzo, che scopre la luce, la linea, la linea spezzata, l’ombra e gli angoli. Un Piero della Francesca che gira per il suo Borgo di Sansepolcro e si ferma ad osservare le mani che lavorano nelle varie, tante botteghe. In questa prima parte, si racconta di un Piero alle prese con il suo primo apprendistato, svolto sempre nel suo Borgo, dove inizia a dipingere bandiere e palio, che dipinge sul legno e sulla cera, così come riportano i rari documenti sulla vita dell’artista che sono giunti a noi.
Nella seconda parte, D’Alessio lascia da parte il verso e apre con “Appunti sulla vita di Piero della Francesca”. Non è facile raccontare dell’artista, dell’uomo Piero. In queste pagine si scandaglia la famiglia di Piero, la sua prima vita scolastica, il suo rapporto con l’artista Antonio d’Anghiari, il suo fondamentale arrivo a Firenze. Dell’incontro con l’arte di Masaccio, con l’arte di Masolino, di Paolo Uccello, del Beato Angelico. A Firenze incontra (forse conosce?) l’Alberti.
Di sicuro legge il De Picture di Leon Battista Alberti, che diventerà il testo dell’arte nel rinascimento italiano. A Firenze, Piero incontra la prospettiva di Brunelleschi. Essere a Firenze nel 1439 significa trovarsi al centro del mondo. Piero in quei giorni osserva e mette nello sguardo i colori, le forme, la simbologia della chiesa d’Oriente. Colori, forme che ritroveremo in Arezzo, nella basilica di San Francesco, negli affreschi della Leggenda della Vera Croce. Il libro racconta dei suoi due – importanti – viaggi a Roma; dei rapporti artistici che Piero intrattiene con la corte di Urbino, di Ferrara, Rimini e si raccontano delle opere di Piero dalla Flagellazione, alla Madonna del Parto, alla Resurrezione e le altre per terminare con, forse, la sua ultima opera, La Natività.
Il libro è un tentativo estremo di dar vita ad un fantasma. E in questo ha ragione lo storico dell’arte Arnaldo Colasanti che nella presentazione del testo dice: “ In fondo, Pasquale D’Alessio parla di un fantasma.
E del più visibile e numinoso. Nonostante l’assoluto, il fantasma vuole incarnarsi in una vita: tale è il terribile struggente di questo testo poetico. Sempre che non ci si fraintenda: l’immaginazione del poeta non gioca con i riti della fantasia, bensì con quelli della pietà. D’Alessio vuole dare una vita a colui che è scomparso nella luce massima della pittura; a quel Piero della Francesca di cui nemmeno Giorgio Vasari, così pronto toscanamente all’aneddoto, riuscì a dare, oltre l’opera, una prova di esistenza”. Nelle ultime pagine, l’autore ritorna alla poesia per ricordare che Piero della Francesca muore lo stesso giorno in cui viene scoperta l’America. (c.z.)