Miei carissimi fratelli e sorelle,
dalla scorsa settimana, da giornali, telegiornali e social vari continuano a grondare notizie non stop sul Covid-19. Un vorticoso tsunami mediatico. Che per noi italiani e cristiani ha praticamente coinciso con l’inizio della Quaresima, tempo forte per prepararci alla Pasqua, segnato dall’esercizio delle tre grandi opere ‘penitenziali’: preghiera, elemosina, digiuno.
Sì, anche digiuno. Qui mi scatta in capo un ronzio compulsivo, che mi fa dire tra me e me: strano destino delle parole! Dopo aver dilagato per secoli e secoli nei rigogliosi terreni di manuali ascetici e devote vite di santi, oggi la parola digiuno risulta quasi del tutto esiliata dal corrente gergo clericale. Per emigrare infine nei laboratori-analisi e reparti chirurgici. Ma non posso non domandarmi: che ne è ormai del peso specifico di una parola che vanta un pedigree di tutto rispetto, dal momento che risale a profeti come Isaia, Geremia, Gioele, ed altri ancora? Che lo stesso Gesù ha, certo, purificato nello spirito e nella prassi, e se vogliamo ha perfino relativizzato. Ma che non ha affatto derubricato.
Ma guarda un po’: la gente oggi digiuna e organizza scioperi della fame per rivendicare legittimi diritti da cui è stata espropriata, per ottenere un aumento di salario, per denunciare gravi fenomeni di violenza, per esprimere solidarietà a persone oppresse o sfruttate. Ma non digiuna più per santificare un tempo sacro come la Quaresima. Del resto la ‘pia pratica’ del digiuno risulta talmente sbiadita per cui uno quasi non se ne accorge più. Un pasto ridotto. Un piatto solo. Quasi niente fuori dai pasti.
A questo punto, mi pare di sentire la voce dei ‘laici’ che ci ricordano la Parola: “Cari cristiani, associatevi pure ai nostri ‘digiuni’. Ma non dimenticatevi di farne un altro. Un digiuno che sia profezia. Astenetevi pure da un pasto, ma prima guardatevi dall’ingordigia, dal sopruso, dalla smania dell’accaparramento, dalla corruzione e dalla collusione con oscure trame di potere. Privatevi pure di un piatto, ma prima ancora privatevi del lusso, dello spreco, del troppo. Più che non sedervi a mensa, aggiungete un posto a tavola. Più che non toccare il pane, spezzatelo con chi ha fame, con chi è sfruttato, sfrattato e senza tetto”.
Ma qual è il digiuno richiesto a tutti, cristiani compresi, nei giorni critici del Covid-19? Penso che questo sia il tempo del digiuno dalla superficialità facilona e irresponsabile, che induce a minimizzare tranquillamente la portata di questa epidemia, come se fosse una normale influenza.
All’opposto questo è anche il tempo del digiuno dal catastrofismo isterico e allarmista, che contagia paure irrazionali e infondate. E interpreta il virus che ci sta affliggendo, come castigo e punizione, fulminata da una gelida entità vendicativa e senza cuore.
Un’altra forma di digiuno – a cui non possiamo sottrarci – è quella dal benaltrismo, che porta a pensare che i veri problemi sono ben altri: il surriscaldamento del pianeta, le speculazioni finanziarie, le guerre… Problemi drammatici, certo, ma si può risolvere un problema oscurandone un altro?
Senza dimenticare il digiuno dall’opportunismo di chi vorrebbe sfruttare la situazione in corso come una ghiotta occasione per affermarsi, per fare affari, per sbalzare di sella i propri avversari politici…
Insomma ci occorrono due virtù, per niente alternative, ma neppure fifty-fifty: la prudenza dei serpenti e la semplicità delle colombe. La prima ci fa evitare il pericolo quando è possibile. La seconda ce lo fa affrontare quando è inevitabile.
Miei carissimi, ma non vi pare che se noi cristiani bazzicassimo un po’ di più questa via evangelica, a tutti risulterebbe un po’ meno complicato far fronte all’emergenza attuale?
Vi saluto.
Vostro
+ Francesco Lambiasi