C’è chi ha sul comodino l’autobiografia di Henri “Papillon” Charrière (libro accusato anche in passato di non veridicità dei fatti) e c’è chi conosce a memoria la versione cinematografica firmata da Franklin J.Schaffner con Steve McQueen e Dustin Hoffman del 1973, ma le nuove generazioni della storia del galeotto ingiustamente accusato di omicidio e spedito nell’inferno della Guyana francese nulla sapevano ed ecco allora un film nuovo di zecca, con due attori ricordati dai trailer più per i loro impegni televisivi (Charlie Hunnam, visto nel valido ma sfortunato Civiltà perduta, è protagonista di Sons of Anarchy e Rami Malek, prossimo Freddie Mercury nel biopic sui Queen, proviene da Mr. Robot), visto l’interesse dei millenials verso i serial del piccolo schermo.
Papillon riprende con corretta professionalità e respiro classico adeguato, senza raggiungere lo status del predecessore, vero e proprio film di culto per tutta una generazione (rispetto al film del 1973 Noer e lo sceneggiatore Aaron Guzikowski aggiungono prologo ed epilogo, ma il cuore della vicenda è sempre in quel buco di mondo, dove ci finirono ben 80.000 detenuti), la vicenda di amicizia, resistenza e forza d’animo che si sviluppa in quel luogo sperduto, dove i tentativi di fuga vengono puniti con il severo isolamento e per gli omicidi di guardie carcerarie c’è la ghigliottina pronta a scendere sul collo del malcapitato. Alla ricerca di una libertà necessaria quanto difficile da raggiungere, Papillon e Dega diventano amici inseparabili e tra i due scatta una solidarietà che diventa il cuore pulsante della sopravvivenza in un penitenziario dove la parola “speranza” sembra essere sparita dal vocabolario umano a disposizione.
Il Cinecittà di Paolo Pagliarani