Capri espiatori. È questa la sensazione diffusa tra i circa 2500 navigator attivi oggi in Italia che con la fine dell’anno, salvo ribaltamenti dell’ultimo minuto, vedranno terminare la propria esperienza.
Introdotti nel 2019 assieme al Reddito di Cittadinanza, i navigator sono coloro che hanno lo specifico compito, assunti da Anpal e lavorando in sinergia (almeno sulla carta) con i Centri per l’Impiego, di assistere i beneficiari del sussidio nella ricerca di un lavoro, fungendo da mediatori tra domanda e offerta.
Figure che però rischiano di passare alla storia come semplici meteore: il loro contratto nazionale, prorogato dal decreto Sostegni, scade alla fine dell’anno e non sarà rinnovato. Non ce n’è traccia, infatti, nella bozza della Legge di Bilancio (anche se, va detto, l’ufficialità vera e propria arriverà solo con la fine del suo iter legislativo). Bozza che già pensa al post-navigator: a sostituirli, infatti, saranno le Agenzie per il lavoro iscritte all’Albo e autorizzate da Anpal. Una decisione che, volenti o nolenti, sa di bocciatura.
Ma si può davvero imputare a queste figure di non aver saputo risolvere i tanti problemi di occupazione presenti in Italia, avendo avuto a disposizione meno di tre anni di attività, due dei quali fortemente condizionati dalla pandemia?
“Non possiamo ridurre il nostro lavoro ai numeri” Capri espiatori, si diceva. E, a guardare la situazione da vicino, è piuttosto difficile dire il contrario.
A prescindere da qualsiasi preferenza politica, l’idea alla base dei navigator non era sbagliata: le politiche attive del lavoro, l’incontro concreto tra domanda e offerta di occupazione, non possono fondarsi esclusivamente sui dati, sui numeri e sui database.
È fondamentale il fattore umano: al di là dei furbetti, che sono eccezioni (ma fanno più notizia), i beneficiari del Reddito di Cittadinanza sono soprattutto persone in grande difficoltà, che devono essere seguite, assistite, accompagnate nella ricerca di un lavoro da persone che sappiano come farlo. Non può essere sufficiente lasciare i propri dati, il proprio profilo e aspettare.
Non solo: spesso si tratta di persone a bassa scolarizzazione o in età avanzata, veri e propri ‘invisibili’ per gli standard del mondo del lavoro di oggi.
Questa assistenza, vitale per molti, è il fondamento dell’esperienza dei navigator che, però, non può essere quantificata. E tutto ciò rende nebuloso e difficilmente misurabile l’efficacia del loro ruolo. Sulla base di cosa, dunque, si è deciso di archiviarli? “Ci sembra, francamente, di essere stati sacrificati. – spiega, sconsolata, la dottoressa Federica Saracco, navigator presso il Centro per l’Impiego di Rimini – C’è la spiacevole sensazione, diffusa nel nostro ambiente, che si voglia far ricadere la responsabilità dei problemi occupazionali sui navigator che, di fatto, non hanno avuto né il tempo né il modo di svolgere il compito per il quale sono stati chiamati”.
Si spieghi.
“La figura dei navigator non esisteva prima, così come non esisteva il Reddito di Cittadinanza. Siamo stati assunti per questo compito nuovo e senza precedenti, dovendo imparare da zero e senza gli strumenti necessari per farlo al meglio: non c’è stato, ad esempio, un vero investimento sugli spazi o sugli strumenti di lavoro, ci siamo sempre sentiti buttati sul campo e lasciati a noi stessi.
Il mio lavoro, inoltre, è fortemente incentrato sul rapporto umano con le persone che cercano un’occupazione, che sono molto spesso persone in grande difficoltà. Il rapporto umano, l’accompagnamento, l’assistenza e la fidelizzazione sono fondamentali: ebbene, da marzo 2020, a causa della pandemia, tutti i navigator sono stati costretti a lavorare in smart working e a distanza. Inutile dire quanto questo sia deleterio per un lavoro del genere, quanto sia difficile gestire persone in difficoltà senza nemmeno poterle seguire da vicino”.
Riduttivo e scorretto, dunque, valutare il vostro operato solo sulla base di numeri e cifre, sulle persone effettivamente collocate o meno.
“Esattamente. E, soprattutto, va sottolineata una questione: molte delle persone che seguiamo sono estremamente difficili da collocare. Gran parte di coloro che percepiscono il Reddito di Cittadinanza si trovano in condizioni di forte disagio, c’è chi ha una bassa scolarizzazione o addirittura non sa leggere o scrivere, chi è senza patente o senza determinate qualifiche, chi vive delle situazioni familiari di grande difficoltà.
Oppure pensiamo semplicemente a persone in età avanzata rimaste disoccupate ma ancora senza diritto alla pensione. Sono tutti casi di persone ‘invisibili’ per gli standard del mondo del lavoro e delle imprese di oggi. Il nostro aiuto in questi casi è fondamentale, ma non può essere valutato in numeri, quindi non viene considerato.
Il valore delle politiche attive non si basa solo su quante persone vengono collocate, ma anche su quante hanno potuto iniziare un percorso di accompagnamento al lavoro. In sostanza, dunque, si imputa ai navigator di non aver risolto, in poco più di due anni comprensivi di pandemia e con pochi strumenti, problemi di politiche attive in Italia che sono radicati da anni. Dire scorretto è un eufemismo”.