Un dolce nonno affabulatore, questa l’immagine di Guido che rimarrà nel cuore dei tanti che l’hanno conosciuto.
Il noto poeta e commediografo dialettale è scomparso il 9 giugno all’età di 94 anni, circondato dall’affetto della famiglia. Attivo come autore e regista fino quasi all’ultimo: nel 2012, infatti, quando il Comune di Rimini lo omaggiò col “Sigismondo d’oro”, Lucchini aveva nel curriculum la bellezza di quarantacinque commedie scritte e tre libri pubblicati. Nel 2013, 88enne, era ancora sui palchi con la compagnia da lui fondata nel 1973 (“E’ Teatre Rimnes” del Dopolavoro Ferroviario) e riproponendo uno dei suoi testi più applauditi, “La vita l’è tott una cumedia”.
Titolo significativo: la vita di Lucchini è stata davvero una grande e unica commedia. A quelle già scritte e rappresentate – ebbe a dire in un’intervista del 2013 – “se non ci saranno intoppi se ne aggiungerà un’altra; al momento è solo nelle intenzioni. Ma il libro, invece, è quasi pronto. Si intitolerà Al vousi d’la Barafonda e avrà una parte dedicata al brodetto di pesce”.
Sul “Sigismondo d’oro” Guido disse che proprio non se l’aspettava. “Mi ha fatto davvero piacere, perché nei libri, nelle poesie e nei testi teatrali ho sempre raccontato Rimini, le sue storie, i suoi luoghi, i suoi personaggi. Un segno d’amore per la mia città, che con questo premio sento ricambiato”.
Era bello, parlare con lui. Classe 1925, capelli bianchi, occhi che sorridevano, voce dolce. Che leggesse le sue poesie o che raccontasse di uno dei tanti personaggi dei borghi riminesi, Lucchini riusciva ad affascinare. Vicende da Corte dei Miracoli, con macchiette che i più anziani ancora ricordano: Bilòz, Sivio, Nasi, Ciriacheto, Mario dla Capleta, la Bec-sèca, Caculini. Per questo si può affermare che Lucchini, nei suoi amarcord, parlasse la stessa lingua di Federico Fellini.
Per la sua verve creativa Lucchini è stato maestro e punto di riferimento per i colleghi, ma sicuramente lo rimarrà ancora a lungo, poiché i suoi testi sono ancora i più rappresentati anche fuori dai confini regionali.
A chi gli chiedeva come potesse un autodidatta, ex operaio delle ferrovie, scrivere commedie con tanta facilità, lui rispondeva: “Ho il vantaggio di avere molta fantasia. Personaggi, sceneggiate, interpretazioni scorrono nella mia mente come in una sequenza filmata. Forse anche perché da ragazzo seguivo con interesse i film d’avventura proiettati nei cinema di Rimini. Non ne perdevo uno, in un giorno ne vidi perfino tre! Tutti quei film hanno sempre stuzzicato la mia fantasia coinvolgendo i sogni che facevo ad occhi aperti. Inoltre, ho seguito i consigli di due maestri d’eccezione: Liliano Faenza e Gianni Quondamatteo. Il primo, capostipite degli autori di commedie in dialetto riminese: la sua Stal mami, del 1939, si può definire un testo scolastico col quale ogni autore si confronta ancor oggi. Quondamatteo leggeva tutti i miei copioni e mi dava le dritte giuste, consigli preziosi che mi sono ancora utili. Ho sempre paura di lasciare incompiuto qualche copione, di non riuscire a finirlo. Quando ne termino uno, mi viene un senso d’angoscia, sento che mi manca qualcosa e per un po’ di giorni vivo una dimensione vuota. Per fortuna arriva presto una nuova ispirazione e le rotelle della creatività ricominciano a girare”.
Alcuni versi di una sua breve poesia “Invece me” spiegano ancor meglio il concetto: “Scriv u m’fa ste bein, e sa stàg bein a scriv” (scrivere mi fa stare bene, e se sto bene scrivo).
Facendo nostre le sue parole, condividiamo quanto afferma Guido per ricordarlo con un sorriso. Scrivendo. Grazie, Guido.