RIMINESI IN PALESTINA Il racconto degli operatori di Educaid e Operazione Colomba
“Ogni azione violenta è sempre sbagliata, a maggior ragione per chi lavora nella cooperazione”. Il riminese Riccardo Sirri (nella foto) è direttore di Educaid. La onlus e ong nata dall’esperienza del Ceis promuove progetti educativi in diversi Paesi in tutto il mondo, anche in Palestina. “ Dopo ogni conflitto armato il nostro lavoro diventa sempre più difficile. La rabbia crescente da entrambe le parti e la paura sono ciò che fa più male alla cooperazione e mette in difficoltà le nostre attività. Lavorare assieme richiede condizioni che favoriscano l’incontro e il dialogo”. Sirri ha nel cuore soprattutto gli operatori di Educaid in Palestina. Sono tre italiani “ ora in condizioni di sicurezza – sottolinea – così come gli operatori locali, una cinquantina, che però hanno fra le vittime familiari ed amici. Nessuno degli italiani si trova adesso nella striscia di Gaza”.
La situazione “ è preoccupante. In questo momento assistiamo alla tragedia che si abbatte sui civili, come al solito le vittime di queste operazioni”. Anche gli operatori internazionali, spiega Sirri, sono “ rimasti come tutti sorpresi dal gesto.
Una sorpresa totale, nonostante il 2023 sia stato un anno molto violento, nel cui corso la conflittualità e l’insofferenza erano esplose non solo a Gaza ma anche nel nord della Cisgiordania”. Prima dell’attacco di Hamas, da inizio anno, i rapporti diffusi parlavano di 200 vittime tra i palestinesi e una trentina tra gli israeliani. Nel numero delle vittime palestinesi, a settembre, si contavano anche 38 tra bambini e bambine.
Di fatto il clima, quindi, “ era pesante, aggravato dalla mancanza di sbocchi, dalla difficoltà per i palestinesi di intravvedere un futuro positivo a causa di un governo di destra molto rigido in fatto di dialogo e rispetto alla condizione che si vive nella Striscia di Gaza.
Sicuramente i nostri colleghi palestinesi non si aspettavano un tale gesto. Ma che prima o poi qualcosa succedesse, non in questa misura e non al di fuori della Striscia di Gaza, ce lo si poteva aspettare”.
Un fatto “ ingiustificabile” senza precedenti, l’attacco di Hamas, che “ avrà ripercussioni negative per le nostre attività, attualmente sospese”, sottolinea Sirri. E sospese risultano anche le attività di Operazione Colomba in Cisgiordania. “ Qui i palestinesi vivono sotto il controllo israeliano”, spiega Marco (nome fittizio), trentenne operatore internazionale. Il suo lavoro è aiutare la resistenza non violenta del villaggio di At Tuwani. Accompagna i contadini e i pastori palestinesi dal villaggio ai campi o ai pascoli filmando il percorso con telecamere. Serve come deterrente per gli attacchi dei coloni più radicali, o come prova in difesa dei palestinesi nel caso in cui il tentativo di dissuasione non funzioni. In questi giorni però Marco non può lavorare.
“ L’area non è stata coinvolta nell’attacco, ma la tensione si è alzata tantissimo e i militari hanno chiuso gli accessi al villaggio”.
Non significa solo che i contadini e i pastori non possono andare ai loro campi (cosa che fanno anche per evitare che i coloni li occupino o danneggino, ed è soprattutto questa la loro resistenza non violenta). Significa anche che non possono andare a prendere l’acqua, a fare la spesa, o andare in ospedale al bisogno. “ In area C, dove ci troviamo noi, è vietato costruire infrastrutture e quindi per tutte queste cose quotidiane devono chiedere premesso all’esercito e andare a reperirle altrove. Permesso che l’esercito può negare. Qui dal ’67 i palestinesi vivono un contesto di apartheid e occupazione militare”.
La situazione, in evoluzione, preoccupa gli abitanti del villaggio “ per le ritorsioni che potrebbero subire soprattutto da parte dei coloni. Loro non hanno armi per difendersi. Qui dentro non ci sono armi da 30 anni. Temono una repressione molto violenta”.
Nelle ultime ore alla condanna ferma del gesto di Hamas si sono aggiunte anche più voci a sostegno della richiesta alla comunità internazionale e a Israele di porre fine definitivamente al conflitto. Voci che rilevano come l’attacco terroristico dello scorso week end non aiuti la causa palestinese, anzi, contribuisca ad affievolire nell’opinione pubblica l’anelito di chi la sostiene.
Respiro che sembrerebbe già flebile, stando all’esperienza dei cooperanti.
“ La narrazione in genere è già a sfavore della popolazione palestinese”, rileva Sirri.
“ Per quello che possiamo vedere noi – conferma Marco – l’opinione pubblica è allineata con Israele. Al di là di quello che si legge in quasi tutti i giornali, una dimostrazione di ciò è il fatto che il Bds non decolla”. Marco parla della campagna globale di “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” promossa da Operazione Colomba, sanzioni “ dirette allo Stato di Israele affinché rispetti determinati obblighi derivanti dal Diritto Internazionale” e precisamente: la fine dell’occupazione e della colonizzazione iniziata nel 1967, il riconoscimento dell’uguaglianza agli arabo-palestinesi, il rispetto del diritto dei rifugiati palestinesi di tornare alle proprie case.