Siamo in pieno periodo di esami e non c’è momento più appropriato per parlare di merito. Trovare qualcuno che sia contro il merito è praticamente impossibile. Quante volte abbiamo sentito dire, in termini positivi, “ se l’è meritato”. Il discorso sottostante che regge il consenso al merito è che: ha lavorato duro, ha studiato, si è impe- gnato, ha fatto sacrici, ecc Tutto vero, o quasi, ma è suciente? In Lettera a una professoressa, don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, zona del Mugello (Toscana), di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, riporta le opinioni di un’insegnante denita, non senza sarcasmo, animuccia delicata, la quale soleva aermare che “ Passare chi non lo merita è un’ingiustizia verso i più bravi”. Peccato che i bravi fossero quasi sempre i gli dei borghesi e i somari quelli dei contadini e degli operai. Ovviamente alla nostra insegnante non pare una ingiustizia che ad essere bocciati siano prevalentemente gli ultimi e i più deboli della scala sociale. Tanto è diventata pervasiva e semplicistica la retorica del merito che in Italia il nuovo Governo ha voluto aggiungere la dizione ‘merito’ al ministero dell’Istruzione, quasi a voler sottolineare che in precedenza non lo fosse. Ovviamente non è vero. Ma, come scrive, in un saggio da leggere, Michael Sandel, in La tirannia del merito: perché viviamo in una società di vincitori e perdenti, la retorica del merito se ne tira dietro tante altre.
La prima è quella delle opportunità, che ci sarebbero per tutti, tanto che l’ex Presidente Usa, Obama,
democratico, coniò lo slogan “se ci provi, puoi farcela”. Lasciando intendere che se non ce la fai è colpa tua. Non ti sei impegnato abbastanza. Riprovaci facendo di più. Che questo sia un gioco truccato è suciente vedere la provenienza familiare dei giovani americani che frequentano le migliori università, da cui verranno fuori i futuri amministratori delegati e presidenti. Università di élite dove accede un candidato su cinque, se va bene, ma ultimamente anche uno su venti. Allora giù a frequentare corsi di preparazione, prendere consulenti privati, tutor, dedicarsi ad attività extracurriculari, fare tirocini e quanto altro possa essere utile per impressionare le commissioni di ammissione. Iniziative tutte molto costose che soli i gli di famiglie ab bienti possono permettersi. Ed ecco, quindi, come l’uguaglianza delle opportunità evapora. La conferma arriva anche da un risvolto statistico: i punteggi nei test di ammissione sono fortemente correlati alla ricchezza della famiglia. Tanto è così che qualche mese fa il Financial Times, che non è un foglio di sinistra, ha pubblicato un articolo dove si sostiene che a parità di risultato del test di ammissione, i gli del top 1% più ricco degli Usa hanno il doppio di probabilità di entrare in una università di prestigio rispetto a quelli della classe media. Un’altra retorica che accompagna il merito è quella dell’ascesa e la s a ricompensa Lo sua ricompensa. sentiamo spesso quando leggiamo di remunerazioni di amministratori delegati che sono 400-500 volte il salario medio di un loro dipendente, quando nel dopoguerra, Valletta, che rimise in
piedi la Fiat, e non era proprio un incapace, prendeva appena, si fa per dire, dodici volte di più.
Prendono tanto perché producono tanto valore (ricchezza)? No. Infatti non è raro che certe remunerazioni si accompagnino a bilanci societari in perdita. Allora non va premiato lo sforzo e il merito? Certamente va
riconosciuto, ma non senza rimuovere comedicelanostraCostit ione rimuovere, Costituzione, gli ostacoli che rendono di fatto le opportunità diseguali. Oggi è solo un modo per mascherare la ricchezza e l’eredità familiare. L’anno scorso, in Italia, per la prima volta, il numero dei miliardari eredi per successione hanno ricevuto, dai genitori, un patrimonio di 151 miliardi di dollari, più della ricchezza creata (141 miliardi) dai nuovi imprenditori (fonte Ubs). Insomma, è dicile cre dere, come diceva don Milani, che: “ Dio fa nascere i cretini e gli svogliati solo nelle case dei poveri”.