Il dogma dell’Immacolata, come è ben noto, è stato definito e proclamato da Pio IX l’8 dicembre del 1854, dopo molti secoli di ininterrotta tradizione devota appena turbati dalle dispute dei teologi domenicani e francescani e dall’ostilità del mondo protestante.
Meno noto è che alla diffusione del culto e dell’iconografia dell’Immacolata fra XV e XVI secolo ha avuto una parte cospicua la Romagna. Si veda in proposito un bel saggio recentissimo di Raffaella Zama apparso sull’ultimo numero di “Romagna arte e storia” (n° 103, 2015).
Anche Rimini ha avuto nella vicenda un suo ruolo attivo; si pensi che la chiesa riminese dei Servi fin dal Trecento era dedicata alla Vergine «sine labe concepta»; e che alla formulazione dell’iconografia dell’Immacolata ha contribuito già nel 1524 Benedetto Coda dipingendo una bella pala d’altare per la chiesa francescana delle Grazie al Covignano (ora si trova nella Pinacoteca Civica di Pesaro).
Generalmente l’Immacolata viene rappresentata come la “donna dell’Apocalisse”: in piedi, circonfusa di luce su uno sfondo di cielo, benedetta dal Padre Eterno e sovrastata dalla Colomba dello Spirito Santo, con un’ aureola di dodici stelle e con i piedi su una falce di luna sotto la quale si trova un aggressivo serpente, spesso in forma di drago (nel primo caso per ricordare il peccato originale, nel secondo per ricordare la visione dell’Apocalisse).
Ora la si raffigura preferibilmente da sola e con un abito bianco, simbolo di purezza, ma in origine spesso aveva in braccio il Bambino Gesù ed era vestita di rosso e d’azzurro. Ricuperando un preciso versetto della Bibbia che riporta le parole rivolte dal Signore al serpente subito dopo il peccato dei progenitori («Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno», Gen. 3, 14) e volendo sottolineare il ruolo primario di Maria nella redenzione dell’umanità, la si rappresentò nell’atteggiamento di schiacciare la testa del serpente. Ma i teologi obbiettarono che la vittoria sul maligno era stata ottenuta dal sacrificio di Gesù, cui la Madonna aveva solo “cooperato”, e in questo senso si espresse una bolla di Pio IV nel 1569; allora i pittori escogitarono una raffigurazione in cui sul piede di Maria che schiaccia la testa del serpente posa (e spinge) il piedino di Gesù: a significare che la forza, cioè il potere di Maria deriva da quello di Gesù.
La raffigurazione migliore che si avvale di questa iconografia è la celebre “pala dei Palafrenieri” che il Caravaggio ha dipinto all’inizio del Seicento per la basilica di San Pietro a Roma, ma che è stata subito rifiutata perché con il suo sfondo buio era troppo lontana dall’iconografia tradizionale e perché era priva di decoro: infatti come si fa a “sopportare” su un altare, e proprio nella Basilica Vaticana, una serpe così schifosamente vera, e un Bambino non più “putto” tutto nudo, che sventola in primo piano il suo pistolino!: Gesù si può mostrare nudo, anzi si deve mostrare così per dimostrare la sua integrità umana e soprattutto che è un maschio (unicamente il figlio maschio, infatti, è il legittimo erede del potere paterno), ma solo finché è lattante.
Una trentina d’anni dopo (1633), in clima ormai decisamene barocco, Carlo Maratta dipinse una bella pala per i francescani romani della chiesa di sant’Isidoro che ebbe molte imitazioni e derivazioni (una anche a Rimini nel Tempio malatestiano, ma è stata distrutta durante la guerra): raffigura la Madonna che schiaccia la testa del serpente; ma chi lo uccide è il Bambino che tiene in braccio, che lo trafigge con la lunga asta di una croce astile brandita come una lancia. La Madre, dunque, coopera alla vittoria del Figlio sul maligno, ma lo strumento della vittoria è la Croce, cioè il sacrificio di Cristo.
Ultimamente mi sono trovato davanti ad una immagine dell’Immacolata derivata alla lontana da quella del Maratta, ma con un particolare molto curioso: l’asta lunga della croce tenuta in mano da Gesù è molto più corta del solito; da essa si diparte una fiammella che senza dubbio è il risultato di uno sparo, dello scoppio di un proiettile indirizzato alla testa del serpente (Maria intanto cautamente ha ritirato il suo piede, posandolo sulla falce di luna). Il pittore, volendo “modernizzare” l’iconografia classica, ci ha dato così un inedito “Gesù cacciatore”. Non so se è l’unico, ma al momento non ne ricordo altri.
Il dipinto in questione appartiene ai Cappuccini di San Marino, e rappresenta l’Immacolata venerata dai santi Quirino e Francesco. Non se ne conosce né l’originaria collocazione all’interno della chiesa cappuccina, né l’autore, probabilmente pesarese; per quanto riguarda la datazione, dovrebbe porsi alla fine del Settecento. Restaurato da poco, è conservato all’interno dell’attiguo Convento dei Cappuccini.
Di trovate iconografiche curiose nelle opere d’arte della nostra zona ne esistono parecchie; dopo “Gesù cacciatore”, un giorno o l’altro – a Dio piacendo (e al direttore de il Ponte) – mi piacerebbe presentarvi una straordinaria “Madonna pompiera”.
Pier Giorgio Pasini