La terra ha tremato, anche nel Riminese, la sera del 5 aprile: alle 22 e 20, qualche ora prima della terribile scossa che alle 3 e 32 avrebbe distrutto l’Aquila. Pochi istanti di tensione anche nella nostra provincia, poi il nulla fino alla notizia, l’indomani, della catastrofe abbattutasi in Abruzzo. Da quella tragedia è trascorso quasi un mese ma gli interrogativi su come sia stato possibile il crollo di tanti edifici, molti anche di recente realizzazione, continuano a scuotere le coscienze. Cosa sarebbe successo da noi, in un caso simile?
Rimini non è stata immune in passato a tragedie del genere. L’ultimo sisma rilevante in termini di distruzioni e vittime, risale al 1916 e provocò effetti disastrosi a Rimini e dintorni. Andando ancora più indietro nel tempo, i terremoti peggiori furono quelli del 14 aprile 1672, del 25 dicembre 1786 e del 17 marzo 1875. Uno per secolo.
Il rischio c’è: tutti i comuni della provincia sono classificati in “zona 2” (rischio medio). Ma se è vero che tale posizione dovrebbe influire sulla costruzione degli edifici, è altrettanto vero che il nostro territorio è stato riconsiderato “a rischio” solo nel 1983, a quasi cinquant’anni dalla declassificazione avvenuta nel 1938. Una “isola felice” per quasi mezzo secolo: peccato che in questi decenni si inserisca anche il grande boom edilizio degli anni Cinquanta e Sessanta.
Cosa comporta, questo, in termini di sicurezza? Veramente, tutte le opere realizzate prima delle normative degli anni Settanta possono essere considerate a rischio? Di certo, senza inseguire inutili allarmismi, quello che la nostra provincia ha sulle spalle, è un patrimonio edile tutto da verificare, tanto per le costruzioni pubbliche quanto per quelle private. Dello stato di salute dei nostri edifici, di quanto prevedono le normative e di come vengono effettuati i controlli, si è parlato all’ultima puntata di Tutto Rimini Economia, il talk show a cura della redazione del mensile TRE, in onda tutti i giovedì alle 21 su Icaro Rimini Tv.
Il fronte pubblico…
All’indomani dal terremoto a L’Aquila l’assessore provinciale ai Lavori pubblici, Riziero Santi, annunciò subito l’esigenza di riunire al tavolo ingegneri, tecnici, architetti e progettisti per definire gli accorgimenti da adottare per tutte le nuove edificazioni e gli interventi di ristrutturazione. “Non mi basta il certificato burocratico – precisa l’assessore – ci stiamo muovendo per verificare, aggiornare ed investire in modo che tutti gli edifici, a partire dalle scuole, siano garantiti”.
A proposito di scuole: secondo l’ultimo Rapporto annuale di Legambiente sull’edilizia scolastica, il 33% degli istituti emiliano-romagnoli è a rischio sismico. “In pratica tutti quelli realizzati prima degli anni ’70, non sono stati progettati tenendo conto dell’eventualità di fenomeni sismici – spiega l’ingegner Alberto Amati del Servizio tecnico dei bacini Conca e Marecchia (ex Genio Civile) – Il decreto del Dipartimento di Protezione civile del 21 ottobre 2003 stabilisce l’obbligo che tutti gli edifici pubblici vangano verificati entro il 2010, salvo proroghe”.
Le verifiche sono in corso. Nel capoluogo, delle 72 scuole comunali due (la “Toti” e la “Raggi”) non dispongono del certificato di idoneità statica. Per la loro messa in sicurezza il Comune di Rimini spenderà oltre un milione di euro.
Su questi edifici, e altri istituti superiori, realizzati prima del 1983, sono già stati stanziati dei finanziamenti dal Dipartimento della Protezione civile, che comunque non saranno sufficienti a coprire tutti gli interventi: 500mila euro per il Perito Turistico “Marco Polo”, 235mila euro per l’alberghiero “Malatesta”, 200mila per la “Toti”, 30mila per la “Anna Frank” di Viserba e 200mila euro a Santarcangelo per la “Pascucci” (per la quale l’Amministrazione comunale spenderà più di 600mila euro).
E finché gli interventi non verranno realizzati? “La situazione – risponde Amati – resta così com’è. Gli interventi di messa in sicurezza richiedono tempi lunghi e in molti casi, pensiamo all’ospedale, esistono non pochi problemi pratici per la messa a norma…”. L’assessore Santi comunque tranquillizza: “Siamo al passo con le normative vigenti. Certo, dobbiamo tenere alta la guardia: l’altro giorno la mamma di un’alunna mi ha scritto segnalandomi problemi in un istituto e mi sono subito recato a controllare…”.
La situazione delle scuole elementari e medie resta comunque di competenza dei singoli comuni così come la messa a bilancio degli interventi di adeguamento.
…e quello privato
Più complicato il quadro dell’edilizia privata. Il catasto indica la data di realizzazione dei singoli edifici, ma una mappatura precisa dello stato dell’arte e del rischio sismico non esiste. “Degli edifici più vecchi è difficile recuperare negli archivi il progetto. – spiega ancora Alberto Amati dell’ex Genio Civile – La prima norma tecnica che in Italia ha introdotto l’obbligo di depositare i progetti per nuovi fabbricati in muratura, risale al 1987″.
“Le norme anti-sismiche che hanno iniziato ad impattare significativamente sugli edifici sono dei primi anni ’70 – illustra Marco Manfroni, presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Rimini – più precisamente la 1086 del 1971 e la 64 del 1974. Tutti gli edifici precedenti, seppur ben costruiti, non offrono il grado di sicurezza attualmente richiesto dalle normative”.
Le norme stesse, nel tempo, si sono evolute, con una serie di decreti e circolari amministrative, “fino ad arrivare – aggiunge Manfroni – alle ultime norme del 2003, 2004 e 2008 che innalzano ulteriormente il livello di sicurezza per quanto riguarda i materiali, le tecniche di calcolo e progettazione e i particolari costruttivi”.
Chi controlla?
Quali sono i principali accorgimenti dell’edilizia anti-sismica? “La parte strutturale è essenziale”, parola di tecnico di cantiere. Massimo Sartini, della Cooperativa Muratori di Verucchio, ci spiega meglio: “Dall’esaminazione dei progetti all’arrivo dei materiali in cantiere, che vengono controllati sistematicamente, come il ferro o il calcestruzzo, fino all’esecuzione pratica”.
Si presuppone che tutte le figure coinvolte nella realizzazione di un nuovo edificio agiscano secondo le regole, ma chi controlla tutto questo?
Quando un privato deve costruire, il progettista incaricato presenta il progetto all’ufficio tecnico comunale che deve rilasciare la concessione edilizia. Ottenuta questa, si avvia la pratica sismica, che verrà presentata ad un ufficio comunale diverso dal precedente. Chi esamina queste pratiche? L’ufficio comunale che le raccoglie ha solo compiti amministrativi. Oggi, per le opere ordinarie avviene un controllo a campione: da tutti i comuni della provincia le pratiche vengono inoltrate, periodicamente, all’ex Genio Civile che esegue un controllo tecnico su circa il 10% delle domande. Per le opere rilevanti (sia pubbliche che private, come locali pubblici, chiese, ecc.) è sempre previsto un controllo preventivo sul progetto più un controllo in corso d’opera.
Il controllo finalizzato a verificare che il progetto tenga conto di eventuali azioni sismiche, come spiega il funzionario del Servizio tecnico di bacino, è sempre sul progetto. “Per le opere pubbliche – chiarisce Amati – è previsto anche un controllo sul cantiere, anche se dalla fine di quest’anno non sarà più così”.
La competenza e la responsabilità vengono demandate sempre più alle figure tecniche: il progettista, il direttore dei lavori e infine il collaudatore, un tecnico esterno scelto dal committente con il compito di attestare che quanto costruito corrisponda al progettato; quindi con l’ultima parola prima del rilascio della concessione edilizia e dell’abitabilità. Peccato che il collaudatore possa essere suggerito benissimo anche dal progettista stesso… “Non dovrebbe essere così, di norma” spiega l’Ing. Marco Manfroni. La legge si è resa conto dei rischi: “Le ultime normative regionali– sottolinea Amati – che entreranno in vigore dal prossimo novembre, prevedono non solo che il collaudatore sia una figura ‘terza’ ma precisano che questa non sia neanche collegata in alcun modo, professionalmente, al progettista”.
Un passo in avanti nel labirinto legislativo. Una domanda, però, secondo i nostri interlocutori va posta: perché, fino a ieri, si poteva fare “tutto”, abusi e condoni compresi? “Con il primo condono – commenta il presidente degli ingegneri riminesi – si richiedeva semplicemente un certificato di idoneità statica, non sismica. Con il secondo condono, è stato introdotto l’obbligo del certificato di idoneità sismica, ma solo per la parte condonata…”. Come se aggiungendo un piano in più il problema della resistenza sismica riguardasse solo quell’ultimo piano.
E fino a prima del terremoto, ricorda l’ing. Amati, “tra le misure prese dal Governo centrale per rilanciare l’economia, c’era anche quel 20% in più, per cui inevitabilmente si deve andare a valutare e adeguare sismicamente tutto il fabbricato…”. Perché anche una piccola parte in più può compromettere la stabilità dell’intero edificio. Forse allora è proprio questo il problema: si focalizzano i rischi solo a catastrofi già avvenute. Prima tutto, o quasi, è possibile. Alla faccia della prevenzione.
Alessandra Leardini