Intervista. Quando il riminese Alfio Righetti si giocò la possibilità di incontrare Cassius Clay in una semifinale con Leon Spinks che poi divenne campione del mondo
Adesso è un nonno gaudente, con ben cinque nipoti dai due ai quattordici anni che gli riempiono la vita. Ma in gioventù Alfio Righetti è stato un eccellente pugile, un boxeur che si è formato nella Libertas Rimini, palestra che fra quelle quattro corde ha regalato tanti campioni al Belpaese.
Un atleta che catturò l’attenzione mediatica soprattutto nel novembre del ‘77 quando, quale ‘speranza bianca’, andò a incrociare i guantoni con Leon Spinks nella semifinale per arrivare al titolo mondiale dei pesi massimi.
“Già, è passato tanto tempo, ma ricordo ancora bene quel viaggio negli Stati Uniti – attacca Alfio –. Avevo viaggiato fuori dall’Italia solo una volta, per i mondiali militari a Seul, però in America fu tutta un’altra cosa. Prima New York, con quei palazzi che non finivano più, quindi Las Vegas, sede del match, con le sue mille luci”.
E il match, che si concluse con una risicata affermazione di Spinks ai punti, ha lasciato più di un rimpianto a Righetti.
“ Al settimo round l’avevo messo in grossa difficoltà, stava barcollando e lì ho interrotto la mia azione, aspettando il naturale conteggio dell’arbitro, come sarebbe peraltro accaduto in Italia. Ma in America era diverso, avrei potuto piazzare un altro paio di colpi, che avrebbero magari cambiato il corso dell’incontro.
Ho peccato d’inesperienza, ho sbagliato… Tra l’altro mi ero preparato sui 12 round, invece ne erano previsti solo 10. Io sono sempre stato un fondista e faticavo magari nelle prime riprese, come è successo con Spinks.
Comunque ho fatto bella figura, però la chance per arrivare al titolo mondiale l’ha avuta lui”.
Chiusa la prospettiva iridata senza il risultato sperato ma con tanti complimenti e pacche sulle spalle, nell’estate ‘79 prova a dare l’assalto alla corona europea. Il titolo appartiene a Zanon, di fatto è un derby azzurro che vale il predominio nel Vecchio Continente. “ E pure qui i rimpianti non mancano… – sospira Righetti –. Ho sbagliato tattica, invece di boxare mi sono messo a ‘fare le botte’, quando avevo più occhio, più velocità, più tempo del mio avversario. Nonostante tutto avrei potuto vincere lo stesso, ma tra il decimo e l’undicesimo round mi si è come appannata la vista, vedevo tutto bianco, forse un calo di zuccheri, non so. E così non ho potuto fare nulla”.
Alla fine il verdetto è di parità,
verdetto che sorride al detentore, mentre Alfio è costretto a fare un salto all’ospedale per capire cosa è successo. “ Ho fatto una Tac e altri accertamenti, esami che hanno escluso ogni tipo di problema, però un tarlo ti rimane – ammette l’ex pugile –. La testa mi diceva infatti di smettere e 6 mesi dopo così è stato. A Bologna ho perso per ko al primo round con l’americano Mims, anche se mi sarei potuto rialzare, e lì ho detto basta, ho realizzato subito che non sarei più salito sul ring.
Avevo già due figli, Alex (l’ex cestista azzurro argento olimpico ad Atene 2004, ndr) e Laura, quindi sarebbe arrivata anche Eleonora. Con la boxe poteva davvero bastare”.
Tra l’altro lei è stato un professionista un po’ atipico, nel senso che anche da atleta nella sua vita non c’era solo il pugilato.
“ È vero, nel ‘74 ero entrato nei Vigili Urbani, perciò cercavo di incastrare gli allenamenti in palestra e il footing con le 6 ore quotidiane di lavoro.
Insomma, ero un professionista per modo di dire…”, ridacchia Alfio, che adesso insieme alla moglie passa qualche mese all’anno alle Canarie, dove ha un piccolo appartamento, mentre quando è a Rimini ci sono i nipoti che lo tengono desto.
Ma la boxe la guarda ancora?
“ Proprio se capita, ma non mi sembra che il mio sport stia attraversando un grande momento. Io sono cresciuto con il mito di Cassius Clay o Muhammad Alì che dir si voglia, ho letto il libro, tutto quanto.
Un grandissimo, ineguagliabile personaggio, come non ce ne sono più”.
Alberto Crescentini