L’INTERVISTA. Mario Galasso, direttore della Caritas diocesana. “C’è chi sfrutta la fragilità di quelle persone che noi chiamiamo migranti economici”
Il problema della casa. La guerra in Ucraina. I giovani sempre più cittadini delle nostre strade e la Pasqua alle porte. Mario Galasso, direttore della Caritas diocesana, affronta diversi temi in questa lunga intervista.
Direttore, partiamo dal gran numero di persone in situazione di disagio attualmente ospitate in case e residence che in estate vanno in affitto ai turisti. Come viene gestita la situazione?
“Il tema dell’abitare è uno dei sintomi dell’ipocrisia diffusa nella nostra società, che si veste di perbenismo per poi approfittare della mancanza di richiesta di alloggio nel periodo invernale, del freddo e del conseguente bisogno di riparo, per affittare camere, anche senza riscaldamento, per più di 500 euro al mese, fino all’arrivo della bella stagione quando bisogna allontanare i miseri per ospitare i benestanti. Nel mezzo una quantità enorme di appartamenti sfitti che, per paura delle insolvenze o di come potrebbero essere restituiti, si preferisce lasciare vuoti pur dovendoci pagare le tasse.
Non so se esiste un modo di gestire una situazione che coinvolge così tante persone.
Come sempre penso che la soluzione più semplice, ma forse anche la più complessa, sia l’accoglienza diffusa dove ciascuno si impegna a fare il minimo mantenendo, ad esempio, una camera – la meno bella, comunque dignitosa – per coloro che, pur non potendo pagare la quota piena, possono continuare a pagare la retta invernale, chiedendo loro in cambio il rispetto per il luogo e delle persone che lo vivono per vacanza. Pensate che bello: rinuncio ad una minima parte di profitto per moltiplicare la mia umanità! Un investimento in punti vita… Utopia?
Mi chiedo anche: e se ogni parrocchia ospitasse solo una di queste persone? Ne avrebbe di punti fraternità che potrebbe convertire in punti Paradiso”.
Dopo un anno si pensava che la guerra in Ucraina avrebbe trovato una soluzione pacifica. Così non è stato. Qual è ora la condizione dei profughi ucraini a Rimini? È vero che molti sono tornati in patria? La temuta recrudescenza della guerra in primavera porterà a nuovi arrivi?
“Si dovrebbe parlare più in generale della fragilità della nostra Casa Comune segnata in troppe parti da conflitti più o meno conosciuti; da terremoti, ricordiamo quello che ha colpito Turchia e Siria e di cui nessuno parla più; dai cambiamenti climatici e dalla siccità che sta colpendo vaste aree del Pianeta; dell’inquinamento che distrugge interi habitat, basta pensare alle plastiche nei mari. Purtroppo questa lista potrebbe continuare a lungo.
Sono queste disparità, queste ingiustizie, dovute dalla regia umana, che dovrebbero attrarre la nostra attenzione e provocarci ad intervenire e a chiederci ma io, cosa posso fare? Tutti noi siamo molto legati alle nostre radici, quando ci si separa, se non è per inseguire un sogno, lo si fa per rincorrere la vita, la speranza di un futuro per sè e per i propri figli. Le diseguaglianze, le ingiustizie, le vulnerabilità mettono in fuga una quantità enorme di persone, ogni anno in aumento… 90 milioni di persone! Spesso si tratta di migrazioni interne perché, nonostante le fatiche, rimane il legame con la propria terra amata. Non fanno differenza gli ucraini. Appena hanno potuto molti sono rientrati consapevoli dei rischi, ma forti dell’amore per la loro patria. Dovremmo canalizzare le nostre energie contro le diseguaglianze, le ingiustizie, le vulnerabilità e non contro donne e uomini vittime prodotte da questo sistema, prodotte da noi ogni volta che giriamo la testa dall’altra parte.
Molti giovani e poveri vengono a cercare lavoro in Riviera per la stagione estiva. Quali sono i problemi per questa gente? Perché pur lamentando una penuria di lavoratori estivi molti rimangono senza un’occupazione?
“Li possiamo chiamare migranti economici. Anche questa, del resto, è una migrazione di sogni e speranze e, ovunque si cercano opportunità, c’è chi sfrutta questa fragilità per approfittarne. Non fa eccezione la nostra riviera. La nostra terra è la terra delle contraddizioni, dell’accoglienza, delle belle persone, della simpatia, ma anche di chi cerca di massimizzare la stagione estiva sfruttando il bisogno impellente di lavorare. Per questo c’è chi dice no! È giusto utilizzare la fame di lavoro proponendo contratti, in tutto o in parte, in nero, che prevedono un orario da mattina a sera, sette giorni su sette per cifre che ballano intorno ai 1.000 euro al mese?
Io, noi, accetteremmo una proposta simile? Naturalmente c’è anche chi, a fronte di giuste proposte, le rifiuta, qui si apre un capitolo molto più ampio.
La fragilità diffusa dai giovani acuita dal Covid”.
Con l’estate, in riviera, arrivano anche tanti emarginati, persone povere, ma anche tanti che vivono di espedienti. C’è un modo per le persone di distinguere chi ha davvero bisogno da chi se ne approfitta?
“È veramente molto, molto complicato distinguere chi ci sta provando, cercando di seguire le regole e chi cerca scorciatoie. Spesso ce lo chiediamo in Caritas. Siamo di fronte a una società che, impregnata di indifferenza, esclude, taglia fuori, pone le persone ai margini. Dall’altra parte, chi si trova a vivere nelle nostre periferie, cerca di organizzarsi con le proprie capacità, caratteristiche e prerogative nel cercare strade di sopravvivenza. Giuste? Sbagliate? Ma io, noi, cosa abbiamo fatto per non escludere tanta umanità?
Cosa facciamo per aiutare le persone, naturalmente quando è possibile, ad imboccare percorsi di dignità e riscatto?”.
Pasqua è un inno alla vita, al risorgere, all’Alleluia. Per voi che siete ogni giorno a contatto con la sofferenza, quali sono motivi di speranza?
“I motivi di speranza sono i piccoli, a volte invisibili, successi quotidiani. La speranza ha il volto e lo sguardo delle persone che si rivolgono a noi affidandoci i loro desideri e le loro prospettive. La speranza ha il volto e lo sguardo dei tanti volontari che quotidianamente si affiancano a noi senza cercare i riflettori delle cronache. La speranza ha il volto e lo sguardo delle tante persone che in maniera anonima fanno arrivare il loro contributo qualsiasi esso sia. La speranza ha il volto e lo sguardo delle comunità che aprono le porte per accogliere chi è in difficoltà. La speranza ha il volto e lo sguardo delle tante belle persone che vivono nel nostro territorio e non hanno ancora trovato forza e coraggio per uscire dalle proprie case per fare la propria parte. La speranza ha il nostro volto e il nostro sguardo tutte le volte che guardiamo le nostre sorelle e i nostri fratelli negli occhi comunicandogli che possono contare su di noi.
La speranza siamo noi”.