Il capolavoro di Bellini proposto al Teatro delle Muse di Ancona in un nuovo allestimento di Cristian Taraborrelli con un cast tutto giovane
ANCONA, 11 ottobre 2019 – Dietro l’apparenza di una favola innocente, La sonnambula cela numerose ombre e non pochi aspetti inquietanti. Con le sue tenui allusioni, il libretto di Felice Romani – che si rifaceva a fonti francesi – adombra, infatti, situazioni fra le più scabrose (se Amina fosse davvero figlia del Conte si potrebbe parlare d’incesto, seppure non consumato…). Sul versante musicale, le splendide melodie di Bellini – purtroppo talvolta trasformate in palestre per esibizionismi vocali, che le svuotano di ogni potenziale espressivo e drammatico – riescono a dar forma ai velati suggerimenti del libretto, mantenendo una cornice d’incontaminata eleganza, dietro la quale si scorgono però fremiti e inquietudini del tutto in linea con la grande stagione romantica da poco iniziata.
Opera assai popolare ma di non frequente rappresentazione, La sonnambula è stata proposta al Teatro delle Muse – come secondo titolo della stagione lirica di Ancona – in un nuovo allestimento di Cristian Taraborrelli, che firma regia e scene, mentre i costumi vagamente rétro sono di Angela Buscemi. Spettacolo oltremodo essenziale, con pochissimi oggetti scenici, dove un mucchio di sale è sufficiente a evocare il villaggio svizzero innevato in cui si svolge la vicenda, mentre una corda tesa suggerisce il pericoloso cammino intrapreso da Amina in stato di sonnambulismo. È però il sapiente uso di immagini filmiche, girate in bianco e nero da Fabio Massimo Iaquone – proiettate sul fondale – e capaci d’integrarsi perfettamente con il palcoscenico, a stabilire una stringente dialettica con i personaggi: i loro primi piani ne mettono a nudo i sentimenti, senza però mai cedere al didascalico o alla gratuità esornativa.
Alla radice di quest’opera c’è la patologia che affligge la protagonista: qualcosa di diverso dalla malattia psicologica destinata a sconfinare nella pazzia, e che tanta fortuna avrà in ambito operistico durante l’ottocento. All’epoca (siamo nel 1831) il sonnambulismo era già stato individuato come disturbo mentale: librettista e compositore erano perfettamente consapevoli della grande rendita teatrale che poteva offrire in palcoscenico. Purtroppo tale plasticità di resa difettava nell’ondivaga concertazione di Alessandro d’Agostini: tempi inizialmente lenti, poi più incalzanti, senza una reale definizione drammatica del fraseggio orchestrale. Né il direttore è riuscito a evitare occasionali sbandamenti d’intonazione e appiombo ritmico, nonostante l’impegno profuso dall’Orchestra Sinfonica Rossini, integrata da quella di Fiati d’Ancona.
Molto più a fuoco il contributo degli interpreti. Il soprano Veronica Granatiero possiede voce sottile e diafana, ma supplisce all’esiguità dei mezzi grazie a una notevole forza espressiva: disegna un’Amina adolescenziale, che ispira tenerezza ed empatia, raggiungendo una notevole intensità nella grande aria Ah! Non credea mirarti. Il tenore Marco Ciaponi ha affrontato con emissione scorrevole e scioltezza interpretativa la parte di Elvino, caratterizzando con efficacia quella immaturità affettiva che contraddistingue il personaggio. Con mezzi forse più baritonali che da basso, Alessandro Spina si è trovato a suo agio nella cabaletta del conte Rodolfo (pagina un tempo sempre tagliata), meno nei momenti più legati e cantabili. Vera sorpresa della serata, il soprano armeno Maria Saradaryan ha sfoggiato, nei panni di Lisa, un bel colore – la voce è sempre molto ben timbrata – e notevole sicurezza nei passaggi più virtuosistici. Apprezzabile anche Isabel De Paoli, il mezzosoprano cui è affidato il ruolo della molinara Teresa. Simpatico e accattivante l’Alessio del basso Giuseppe Toia, mentre il Coro Lirico Marchigiano Bellini (preparato da Davide Dellisanti) non è apparso sempre perfettamente appiombato.
Interpreti giovani per una serata che lascia una piacevole sensazione di freschezza, dove ogni imperfezione viene riassorbita. All’interno di uno spettacolo emozionante e mai banale.
Giulia Vannoni