Diretta o rappresentativa? Ibrida. Per rappresentare la democrazia italiana, insomma, Ilvo Diamanti ammette sconfessa il terzium non datur della tradizione latina. Per il 62enne sociologo, politologo e saggista, professore ordinario di Scienza della politica all’Università di Urbino ed editorialista di Repubblica, non siamo più in presenza della vecchia democrazia dei partiti della Prima Repubblica, ma siamo anche diversamente distanti rispetto alla recente democrazia del pubblico della seconda repubblica. La prima si reggeva sull’ideologia e sulle identità collettive, la seconda ha scommesso sulla comunicazione e sui leader. Oggi invece si combinano elementi vecchi e nuovi. Ilvo Diamanti ne ha parlato a Rimini nel recente incontro organizzato dalla Fondazione “Igino Righetti” dal titolo “Com’è cambiata la democrazia?”, presentando le tesi del suo ultimo libro Democrazia ibrida (Laterza) e discutendo della questione con due giovani ricercatori, Luigi Ceccarini e Fabio Bordignon (con i quali ha realizzato sempre per Laterza nel 2013 <+cors>Un salto nel voto<+testo_band>), noti per le loro indagini sui partiti politici e sui movimenti religiosi in Italia.
Democrazia ibrida, dunque. Prof. Diamanti, quali sono le ragioni di questa metamorfosi italiana?
“Sono sostanzialmente due: la crisi economica che ha lacerato i legami con le istituzioni, con gli attori politici e fra le persone e la diffusione di Internet che ha aperto nuovi canali di partecipazione politica”.
Per rappresentare l’attuale situazione, lei utilizza anche un’altra parola chiave: dis-intermediazione. Può spiegarci meglio in cosa consiste?
“In nome della democrazia diretta, la Rete canalizza l’insoddisfazione e la protesta popolari contro tutti i corpi intermedi della democrazia rappresentativa: istituzioni, partiti politici, giornalisti. E per la prima volta, con l’avvento della democrazia ibrida, sono gli stessi partiti a trasformarsi in antipartiti. Così al posto dei leader si affermano gli antileader. Perché oggi la principale risorsa di consenso su cui investire non è la fiducia, ma la sfiducia”.
Quali saranno gli esiti di questa vicenda che interessa da vicino ogni cittadino che ha a cuore le fondamentali garanzie di libertà e di solidarietà richieste dalla Carta costituzionale?
“Siamo in una fase di continuo cambiamento e sotto pressione critica per la democrazia rappresentativa: l’equilibro tra la partecipazione dei cittadini e il governo è fragile e continuamente messo discussione.
Si registra la critica aperta di alcuni soggetti (come il Movimento 5 Stelle) per i quali sarebbe migliore la democrazia diretta. La Rete lo permette. La democrazia rappresentativa oggi sarebbe dunque inadeguata per gli attori e i partiti ma anche per i leader e le istituzioni”.
Anche la comunicazione avviene con modalità differenti.
“Siamo in una fase in cui la democrazia ibrida si serve di strumenti comunicazione differenti: la Rete, la piazza e però ancora la tv.
Molti attori vi partecipano sempre più. ma gli stessi principali attori della democrazia rappresentativa, cioè i partiti, sono profondamente cambiati, si sono personalizzati. Siamo in presenza di una democrazia fondata sui leader di partito e su partiti leaderizzati, però non abbiamo né una Costituzione né un sistema che si sia adeguato a questo cambiamento. Non abbiamo cioè sviluppato gli anticorpi e i sistemi di controllo adeguati. L’Italia è una sorta di presidenzialismo non istituzionalizzato. In realtà è una fase di confusione e non sempre la confusione preannuncia un futuro felice”.
I cittadini sono disamorati della politica o si sono disaffezionato dei partiti?
“Il distacco è nei confronti dei partiti e delle istituzioni. La partecipazione politica in Italia è ancora abbastanza estesa, specie sui nuovi media, però è fortemente ispirata alla sfiducia. Non a caso le mobilitazione principali sono radicate sulla sfiducia verso i partiti e verso le istituzionali. Persino i nuovi leader sono in fase anti partititica”.
La sfiducia è un virus letale?
“La sfiducia è una virtù democratica. Montesquieu invitava a diffidare, o a non fidarsi troppo di chi ha potere, perché potrebbe abusarne. Da parte sua, Madison, uno tra i più autorevoli costituzionalisti americani, diceva tra i che ogni buona Costituzione è un atto di fiducia. Se ciò fosse vero, l’Italia sarebbe davvero una democrazia robusta”.
L’Emilia Romagna è appena stata chiamata al voto. Con questa sfiducia, che si traduce anche in allergia al voto, in astensionismo galoppante, e di fronte alle inchieste sulle spese pazze in Regione, come si può ancora dare credito all’attuale sistema?
“I cittadini debbono esercitare una sfiducia democratica: esercitare cioè un controllo e chiedere maggiore trasparenza. La democrazia non si esaurisce con il voto ogni cinque anni”.
Il premier Renzi ha goduto finora di una grande fiducia dagli organi di comunicazione, molta più alta perlomeno rispetto agli ultimi suoi predecessori.
“I sondaggi certificano un robusto calo di fiducia negli ultimi mesi nei confronti del Governo e del capo del Governo. Il livello di fiducia di cui dispone Renzi è ancora molto elevato.
Renzi è un leader che per quanto in calo non ha alternative: dietro di lui non ci sono concorrenti, e gli altri leader dispongono di una fiducia da parte dei cittadini molto più limitata”.
Paolo Guiducci
(con la collaborazione di Maurizio Ceccarini)