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La seduzione della voce

Alcina, una scena dello spettacolo - Ph Fabrizio Sansoni

Alcina, capolavoro di Händel, è andata in scena con grande successo al Teatro dell’Opera di Roma 

ROMA, 23 marzo 2025 – Insieme a Giulio Cesare è probabilmente l’opera più bella di Händel. Del resto, anche se il libretto è passato attraverso diverse mani, Alcina può contare su una straordinaria fonte letteraria. Rappresenta infatti la rielaborazione di un episodio dell’Orlando furioso: quello della maga che seduce i cavalieri giunti nella sua isola incantata, per trasformarli in animali, piante o rocce. Attraverso le seduzioni della vocalità, la musica aggiunge poi un ulteriore, irresistibile elemento di fascinazione; sicché questo ‘dramma per musica in tre atti’, a partire dalla première londinese del 1735, non ha mai conosciuto quell’oblio in cui sono invece incappati altri titoli di Händel.

Mariangela Sicilia (Alcina) – Ph Fabrizio Sansoni

Un nuovo allestimento di Alcina è adesso in scena all’Opera di Roma, firmato dal regista Pierre Audi. Lo spettacolo, in realtà, era nato più di vent’anni fa per le piccole proporzioni di un gioiello barocco come il teatrino reale di Drottningholm. Le scene – o meglio le quinte e il fondale, data la totale assenza di oggetti sul palco – disegnate da Patrick Kinmonth, che firma anche i costumi, riconducono a un’iconica ed elegante visualità settecentesca: molto essenziale e, dunque, lontanissima dai mirabolanti effetti ottenuti con le macchine barocche. Una scelta compiuta, verosimilmente, nell’intento di valorizzare la recitazione, sebbene l’ampiezza del palcoscenico romano non sia apparsa la più adatta ad assecondare queste intenzioni. L’attenzione si è così focalizza soprattutto sulla musica, tanto più che Rinaldo Alessandrini è riuscito a ottenere sonorità sempre credibili da non specialisti del barocco come gli orchestrali del Teatro dell’Opera, ovviamente a ranghi ridotti (ma integrati da due flauti dolci e un arciliuto, utilizzato insieme al cembalo e al violoncello per il basso continuo). Gli strumentisti romani hanno corrisposto sempre correttamente le intenzioni del concertatore: peccato solo per una certa carenza di colori, che avrebbero potuto contraddistinguere con più vividi contrasti le diverse situazioni drammatiche.

È stato comunque il cast a suscitare il maggior interesse, come del resto è logico attendersi da un’opera che Händel aveva concepito per quei fuoriclasse – quasi sempre italiani – che furoreggiavano sulla scena londinese. Proprio a cominciare da Mariangela Sicilia: non una barocchista, ma capace di sfoggiare doti vocali da far invidia anche a chi ha un’assidua consuetudine con questo repertorio. Quello della maga Alcina, del resto, è forse il ruolo meno virtuosistico dell’opera e, dunque, del tutto congeniale a un soprano eminentemente lirico come la Sicilia. Oltre ad aver affrontato sempre con la massima sicurezza le colorature, la cantante ha sfoderato un sapiente pilotaggio dei fiati: attraverso impeccabili ‘messe di voce’ e un’eccezionale gestione dei pianissimi.
In grado di rivaleggiare con la protagonista, il controtenore Carlo Vistoli – interprete di Ruggiero – è invece l’ideale incarnazione di quel virtuosismo barocco finalizzato a esprimere i diversi stati d’animo del personaggio. Voce fenomenale per ricchezza di armonici e luminosità, emerge fin dalla prima aria, La bocca vaga irta di variazioni, trovando poi il culmine nella spettacolare Sta nell’ircana.
Pur non svettante per qualità vocali, il mezzosoprano Caterina Piva ha interpretato con molto professionismo un’appassionata Bradamante, seducente sia in vesti maschili che femminili, mentre il ruolo di Morgana era affidato al soprano Mary Bevan, poco accattivante a causa di un’emissione un po’ stridula e qualche problema di appiombo. Nel piccolo personaggio di Oberto – concepito da Händel per voce bianca – si è imposta invece la giovanissima Silvia Frigato: assai espressiva nel delineare un adolescente impaurito, ma reso forte dalla sua stessa disperazione. Le due voci maschili più tradizionali (tenore e basso-baritono) lasciavano a desiderare. Anthony Gregory, interprete di Oronte, ha evidenziato una linea di canto talvolta scompaginata e anche la regia l’ha costretto a una recitazione un po’ sopra le righe; mentre Francesco Salvadori, come Melisso, è apparso tanto in difficoltà in acuto quanto stimbrato in basso.

Più di tre ore di musica, comunque, dove s’inanellano numerosissime arie (da non dimenticare che spesso hanno il ‘da capo’), in grado però di scorrere con straordinaria facilità, e che il numeroso pubblico del Teatro dell’Opera ha ascoltato con massima attenzione, senza mostrare segni di stanchezza. Alcina, infatti, non era mai andata in scena a Roma. E per una culla del barocco come la capitale d’Italia questo è davvero un paradosso.

Giulia Vannoni