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La scoperta del dono che ci fa adulti

Ripartire dagli adulti

Ripensare la pastorale dopo il coronavirus non significa fare del maquillage come accaduto in questi anni (prima la cresima e poi la comunione, uno o due anni prima o dopo, oppure tutto insieme, affidare il percorso alle associazioni come se queste avessero la bacchetta magica…), ma cercare di pensare un percorso di fede sganciato dall’età e legato alla storia personale (com’è possibile pensare che tutti siano pronti a ricevere i sacramenti nello stesso momento?), non alle logiche scolastiche delle “classi del catechismo” e anche al fatto che siano dati a tutti. Non per escludere qualcuno (la Chiesa non è la padrona dei sacramenti, ma è amministratrice di doni, che non sono suoi), ma perché questi possano davvero portare frutto. E forse, perché questo avvenga, può essere che sia da pensare addirittura all’ipotesi di offrirli in età adulta o comunque quando essi siano davvero desiderati, invocati come frutto di una scelta di fede già sperimentata ed accolta. Come il punto di arrivo di un catecumenato serio e impegnativo, ma ricco di tanta gioia e desiderio di cibarsi della parola e del corpo di Cristo. E qui sorgono altre domande: che cosa hanno da offrire le nostre comunità parrocchiali a degli adulti che vogliano fare esperienza di vita comunitaria? Se domani si presentasse in una nostra parrocchia qualche adulto che dicesse: “ho desiderio di vivere il Vangelo in modo più autentico e di fare un’esperienza di comunità coinvolgente e concreta”, cosa potremmo proporre a questi fratelli? Cosa diremmo loro oltre che invitarli a venire a Messa e magari ad impegnarsi in qualche gruppo di volontariato? È evidente che da ormai troppi anni il mondo adulto è stato quasi abbandonato a sé stesso. Quali percorsi che non siano a termine (perché la fede non è un’esperienza a termine) e che ci accompagnino settimana per settimana (perché gli incontri fatti una volta ogni tanto non possono nutrire nessuno) abbiamo messo in atto nelle nostre comunità per i nostri adulti? Quale frequentazione assidua della mensa della Parola possiamo proporre e vivere insieme in gruppi stabili ove si sperimenti anche la comunione della vita? Le energie pastorali della stragrande maggioranza delle parrocchie è investita nella catechesi e in quanto gira attorno ad essa (campeggi estivi, ritiri…) e nella gestione e organizzazione della Messa domenicale (ministri, cori…). Lasciando le briciole a tutto il resto. Ma come potranno mai dei bambini/ragazzi poter continuare e progredire nella loro vita di fede se accanto a loro non trovano adulti che li accompagnano a fare esperienza di Dio, perché essi stessi per primi non sono stati formati e non sono cresciuti nell’incontro con il Signore? Se sono essi (gli adulti) i primi che hanno abbandonato la pratica dell’eucarestia domenicale e della vita comunitaria? Ultimo punto, ma non ultimo perché ce ne sarebbero tanti ancora, ma lo spazio non mi consente di andare oltre: possiamo al giorno d’oggi continuare a pensare ad una Chiesa clerocentrica?

Dobbiamo anche qui avere finalmente il coraggio di elaborare delle alternative serie.

Abbandonando la paura, sapendo che si potrà sbagliare, ma provando a far fiorire il dono del comune sacerdozio del Popolo di Dio che nasce dal battesimo.

L’accorpamento delle parrocchie, le zone pastorali, le unità pastorali… sono dei nobili tentativi di rispondere al problema della carenza di preti, ma quanta resistenza trovano ancora, molte volte proprio da parte dei sacerdoti! E poi, siamo sicuri che con queste operazioni risolveremo il problema? O forse ci troveremo dei preti sempre più depressi o stressati dalla moltitudine di impegni ai quali neanche Superman riuscirebbe a far fronte? Come possiamo pensare ad una esperienza cristiana che sia bella, gioiosa e liberante se tutti noi, preti per primi, siamo oberati da impegni che si moltiplicano e che schiacciano la vita di fede facendola coincidere con le cose da fare? Anche qui il coraggio di una riflessione seria sui “modelli di Chiesa” possibili, non può più aspettare, avendo l’ardire di scardinare una logica che è basata su impostazioni che hanno fatto evidentemente il loro tempo e che oggi non sono più in grado di reggere. E non lo dico io, lo dicono i numeri, lo dice la realtà. Come vedete, di carne al fuoco ce ne può essere molta. Non ci resta che metterci al lavoro!

LuigiBianchini diacono parrocchia Il Crocifisso

Pastorale e prete, ruoli da ripensare

In questo tempo di crisi, il Signore ha risvegliato in me e nella comunità diversi bisogni. Credo che nonostante le tristi notizie, legate ai morti, ai malati e all’economia, che sono oggettivamente male, questo tempo sia stato prezioso per la fede personale e della chiesa. Ho pregato di più in questi giorni, ho fatto più fraternità con i preti che abitano con me, ho fatto cose più normali in casa, che di solito non faccio, per custodire l’ambiente dove vivo e l’Ambiente con la A maiuscola. Ho dato più tempo informale e spirituale alle persone. Abbiamo costruito con i nostri cristiani dei percorsi, che dove usati, hanno risvegliato il protagonismo dei laici, i loro carismi e la loro fantasia, decentralizzato la figura del prete.

È chiaro la gente è abituata ad altro, quindi non sono molte le persone che pregano da sole a casa, che fanno meditazione, che stanno sulla parola, ma questo invece di farmi correre per tornare a quello che facevamo prima, oppure a fare messe con distanziatori o moltiplicare le liturgie come in Polonia , mi spinge più a pensare che forse il nostro modello di chiesa non è stata capace di educare i fedeli alla spiritualità.

Quando feci il seminario a Bologna, un mio vice rettore disse : “Siamo i volontari della messa, se non dici almeno due messe al giorni che prete sei?”. lo ho sempre pensato: Normale.

Fra preti mi piacerebbe ci confrontassimo almeno su alcuni temi.

1. La pastorale che abbiamo portato avanti negli ultimi anni, ha nutrito veramente le persone? Abbiamo forse creato volontari della messa e collaboratori atti a portare avanti dei progetti, più che persone con una spiritualità cristiana?

2. Visti alcuni piccoli sussidi per la preghiera in famiglia e le celebrazioni in casa che abbiamo dovuto pensare per le nostre comunità, e visto che le realtà delle nostre parrocchie, che stanno tenendo in questo momento, sono quelle che avevano già creato fra i membri una relazione comunitaria.

Possiamo rivedere il tema delle piccole comunità di quartiere secondo la struttura delle chiese in missione?

3. Poiché in diversi di noi, in questo tempo affermano: “mi sono sentito più prete, ho potuto curare di più la spiritualità, ho recuperato rapporti più umani con le persone”. Possiamo riprendere in mano la quotidianità della vita del prete, per vedere se sta un po’ naufragando la sua umanità a discapito della pastorale?

Sogno un prete che non è il factotum della vita della parrocchia, attraverso il quale tutto deve passare, e che non è lui il convocatore di iniziative, ma che al massimo con la sua vita diventa un indicatore della necessità di incontrare Cristo. Che sia più nella vita normale della gente, non uno dei tanti erogatori di servizi (seppur spirituali), ma in servizio, come altri testimoni di questo tempo. Che possa coltivare la vita fraterna, non dovendo rubare spazi a quello che gli rimane, ma che possa fare della vita fraterna uno spazio di evangelizzazione. Una chiesa più simile ad una casa, tanto che se non possiamo abitarle tutte, possiamo anche pensare di chiuderle o darle a qualcun’altro, fidandoci di più dello Spirito Santo, senza paura.

Don Davide Pedrosi e la comunità di Castelvecchio

 

Paura e fragilità, le prime urgenze

La vita pastorale riprende. Lunedì 18 maggio alla parrocchia San Pio V di Cattolica si è incontrato, dopo tanto, il gruppo di pastorale sociale. Ecco una breve traccia dell’incontro.

“La prima parte dell’incontro ci ha impegnati a capire qualcosa sulla politica economica europea. Si parla di miliardi che vengono stanziati senza avere chiaro da parte nostra le modalità concrete di rientro. Noi stessi abbiamo avuto la percezione di quanto sia difficile capire.

Del resto da quelle che sono le linee economiche europee, i giovani e gli stessi adulti sembrano estranei.

Sul tema poi si è ripreso, in prospettiva immediata e di aiuto il MICROCREDITO che è nato proprio all’interno della nostra parrocchia.

Può essere ancora uno strumento valido in alcune situazioni specifiche.

Si è poi accennato all’influsso che la pandemia ha sulla mentalità di oggi: la paura dell’altro sembra essere una nota comune.

L’obiettivo immediato è rimettere insieme una capacità di pensiero.

Perché anche di questo si tratta.

Molte notizie ripetute sui virus, sulla sicurezza e scarsa riflessione su quanto accade nel cuore.

Alcune tematiche quali la fragilità, il riferimento a Dio, la realtà delle nostre famiglie con gli anziani spesso segregati. Una certa difficoltà a gestire i figli nello spazio casa.

Emergono tessuti sfilacciati nelle nostre comunità con una certa difficoltà ad ammettere l’urgenza educativa non solo per i ragazzi, ma per la stessa famiglia quale soggetto educativo”.

Il Gruppo di pastorale sociale parrocchia San Pio V Cattolica