“…e come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose”.
Questo verso de “La canzone di Marinella” di Fabrizio de Andrè sembra raccontare con estrema accuratezza la storia di Giulia Cecchettin, morta lo scorso 18 novembre per mano di un uomo, un altro uomo. Troppo giovane e piena di speranza, la sua esistenza, per essere gettata via così e finire nel dimenticatoio: l’omicidio Cecchettin non è stato vano, ha acceso l’opinione pubblica e il dibattito che per troppo tempo se ne è stato zitto a guardare le centinaia di donne che ogni giorno venivano, e vengono, strappate alla vita. Il numero aumentava con il trascorrere dei mesi e degli anni e ora, finalmente, il tema sta avendo la risonanza mediatica che merita. Sì, perché quello da cui bisogna partire è l’informazione, tutti dovrebbero sapere che sono 106 le donne vittima di femminicidio solo nel 2023. Che quello di Giulia Cecchettin non è un caso isolato frutto di un singolo ortaggio malato del campo: tutta la terra in cui cresce il raccolto e le sue radici sono vittime di una malattia che va avanti da tempo.
Ciò che è accaduto deve far fare un passo avanti alla nostra società e sempre più persone, donne e uomini uniti, stanno cercando di farlo: sta nascendo uno spirito di rivalsa contro quei “princìpi” di genere che sono sbagliati e portano soltanto al male e all’odio. Quello delle ultime settimane sembra essere solo l’innesco di una rivoluzione culturale che speriamo non si inabissi con il passare dei giorni. Come ha detto Elena, sorella di Giulia Cecchettin, non facciamo un minuto di silenzio in cui la mente dei più vaga lontano, ma facciamo rumore, parliamone: non c’è niente su cui tacere. Per fortuna l’Italia si sta attivando e con leggi discusse in Parlamento, iniziative di mobilitazione e cortei gremiti di persone: il rumore c’è e si sente.
Il problema dei social
Non si è fatta attendere, però, anche la reazione dei social network, che spesso esprime gli aspetti più beceri della società. Affianco ai migliaia di post di cordoglio per Giulia Cecchettin, infatti, emerge anche la reazione di una frangia di uomini che si sentono chiamati in causa e, senza fare un “mea culpa”, si sentono in dovere di farci capire che la colpa non è loro, ma anzi proprio delle donne. Colpiti in quello che percepiscono essere un onore di maschio, quell’onore che fa credere di essere il sesso dominante che non sbaglia mai, l’uomo “che non deve chiedere mai”. Si sentono feriti, anche ora che le cronache portano alla luce il dramma di un genere intero, quello femminile, che ha subìto l’ennesimo colpo fatale e che questa volta ha reagito scendendo nelle piazze. Proprio su Internet, in questo periodo, leggo che alcuni maschi non ci stanno e non provano neanche a nascondersi per questo, perché tanto sanno che ci sono tanti altri come loro pronti a dargli manforte: tirano fuori la solita frase: “E i maschi che muoiono?”, come in una macabra gara in cui non c’è vincitore.
Una conflittualità di genere che colpisce anche i giovani
Tutto questo porta a un’amara consapevolezza: la scala valoriale è allo sbando. Quello che non si può dire per le strade finisce sui social e così nascono pagine in rete che prendono in giro Giulia Cecchettin e denunciano un fantomatico sistema femminista che si sta cercando di fare largo per ribaltare gli equilibri del potere. Odio su odio che va a gettare benzina su un fuoco. E, elemento ancora più sconfortante, molte di queste pagine sono gestite da giovani. Non ci si limita ad analizzare la vicenda e i suoi risvolti, ma si scava nel suo passato, nella sua vita e si fa di tutto per sminuire ogni cosa che succede.
Quello che, personalmente, mi fa male è che tutto questo odio, come detto, è perpetrato anche dai giovani, che invece dovrebbero essere fonte di speranza per un futuro senza pregiudizi di qualsiasi genere. Anche io sono giovane e sto vivendo questa vicenda e i suoi risvolti come una grande sconfitta per tutti quelli della mia generazione. Non è un punto di non ritorno, c’è sempre possibilità per migliorare, ma la strada sarà sicuramente in salita. Credo che l’ondata di odio verso le donne non finirà presto e non subirà nemmeno un arresto nell’immediato: ciò che si deve costruire è una nuova sensibilità di genere, lontana dagli antichi stereotipi della possessione maschile o della debolezza femminile. È questo che ancora ci limita fortemente.
Il dibattito
Ho voluto discuterne con due giovani, voci delle nuove generazioni, per fare chiarezza su questo caso e sentire che cosa ne pensano. Alice e Marco di 24 anni, entrambi riminesi:
In che modo vi siete interessati alla vicenda di Giulia Cecchettin?
A: Sin dall’inizio, quando ancora i giornali parlavano di una fuga d’amore, qualcosa non mi quadrava: lei si stava per laureare, aveva delle scadenze importanti da portare a termine; non poteva essere un allontanamento volontario. Poi l’annuncio che nessuno avrebbe voluto ricevere.
M: Leggevo titoli di giornale su due ragazzi che non si trovavano più, ricordo che mi ha colpito molto l’età, simile alla mia. Quando il triste epilogo si è reso più chiaro mi sono voluto informare ancora di più, sempre perché sentivo questi ragazzi vicini a me. Volevo capire.
Giulia Cecchettin aveva la vostra età e, proprio come voi, era una ragazza con interessi e passioni. Questa cosa come vi colpisce?
A: Ogni delitto è importante e degno di nota e ogni donna uccisa deve essere menzionata a dovere, ma quello di Giulia è stato un omicidio che ha destato particolare scalpore in me. Sarà stata appunto l’età simile alla mia, il fatto che si sarebbe dovuta laureare proprio come me… insomma, l’inquietante sensazione che sarebbe potuto capitare anche a me. Non è strano incappare in un uomo “tossico” che vuole ribadire la propria supremazia, la sensazione che ho provato appena lette le notizie è quella di essere una sorta di sopravvissuta. Ho scandagliato tutta la mia vita, pensato ai momenti, agli attimi e non è stato difficile trovare situazioni in cui sono stata discriminata in quanto donna.
M: Certo che mi ha colpito, mi sono sentito sporco appena ho saputo la notizia, portatore di un peso, quello di essere maschio. È stata questa la prima sensazione, anche se non è del tutto giusta, insomma, non dobbiamo limitarci a un mea culpa: dobbiamo agire perché questo genere di azioni non avvengano più.
Hai avuto modo di osservare le reazioni sui social?
A: Ho notato che sui social, giustamente, si “parteggia” per Giulia e si empatizza con la sua famiglia. Ma, purtroppo, c’è anche una frangia che si pone all’opposto. Inneggia all’odio di genere, pubblica post satirici sulla vicenda, insomma la stupidità dei social non si è fatta attendere.
M: Sì, però non mi sarei mai aspettato di trovare reazioni avverse a Giulia Cecchettin e al genere femminile. Da uomo non riesco a capirne il motivo sinceramente, quello che ho provato è stata tanta rabbia e incredulità.
Credi che nella società cambierà qualcosa dopo questi fatti?
A: Mi dispiace dirlo, ma non credo che, nel breve, cambierà qualcosa dopo questo delitto. La prima educazione deve partire dalla famiglia, il rispetto di chiunque, e poi la scuola, ma anche gli amici: bisogna condannare ogni atto maschilista all’interno dei gruppi di ragazzi. Credo che quest’ultimo sia uno dei luoghi in cui si perpetrano il maggior numero di violenze nei riguardi delle donne, non necessariamente fisiche, ma anche e soprattutto verbali.
M: La sensibilità sull’argomento sta gradualmente aumentando, ma vedo ancora lunga la strada. Posso dire che nel mio piccolo ho pensato a ritroso a tutti quegli episodi in cui non mi sono comportato al meglio con una donna. Non parlo di violenza fisica, certo, non mi sono mai spinto a tanto, ma qualche piccolo commento che all’apparenza sembrava innocuo sicuramente c’è stato. È questo il punto da cui bisogna cominciare, se ogni persona facesse questo ragionamento interiore sarebbe una vittoria per tutta la società.
Federico Tommasini