Sono tutti sulla stessa barca nella speranza di affondare il più tardi possibile. Artigiani e mastri hanno i capelli bianchi, un’età non inferiore ai 50 anni e le mani piuttosto rovinate. Hanno botteghe affastellate di vecchi materiali e alcune si sono preservate come 30 anni fa. I loro mestieri sono antichi, alcuni in via d’estinzione, altri appaltati a stranieri, gli unici disponibili a svolgerli.
Se una volta lo slogan ricorrente era “impara un mestiere” oggi senza slogan ma con università, stage, tirocini, master, specializzazioni, si tenta di raggiungere un posto di lavoro grazie al quale guadagnare molto e se possibile, in tempi brevi: “I soldi facili”li chiamano la maggior parte degli artigiani che abbiamo avvicinato. La crisi non decelera la sparizione di molti mestieri ormai inutili nella nostra società: così vanno in soffitta ciabattini, restauratori, calzolai, maestri legatori, orologiai, tappezzieri, riparatori di tv e biciclette, orafi. La battuta d’arresto generale in campo economico è il colpo mortale per i pochi maestri in circolazione.
“La situazione è davvero critica, negli ultimi anni c’è stato un calo drastico – spiega Gino della tappezzeria di via Mentana – ormai la gente non ripara più nulla, figuriamoci un divano da tappezzare! Una volta a Rimini c’erano le famiglie benestanti con un certo gusto per l’arredare. Oggi le giovani coppie abitano in 50 mq con divani e tende dei grandi magazzini”.
I tappezzieri rimasti in Centro storico sono due e senza molte possibilità per il futuro. Il problema è l’assenza di richieste che si fonde con il disinteresse giovanile di acquisire un mestiere.
“Per quarant’anni ho fatto l’orologiaio. Ora mi occupo soprattutto del restauro di pezzi antichi perché i clienti che aggiustano orologi sono davvero pochi. Con l’avvento dello Swatch il mondo degli orologi si è bloccato perché basta andare nei vari centri d’assistenza per il pezzo di ricambio. Ma noi non siamo semplici montatori ma orologiai: ricostruiamo i pezzi, li affiniamo spiega Marco, che grazie al figlio Nicola, ha garantito ancora lunga vita alla sua attività. Come lui altri quattro orologiai del Centro città lamentano la crisi, cercando però, di preservare ancora la bellezza di questo mestiere.
In via Giovanni XXIII, tra bazar e negozi etnici, resiste un piccolo guazzabuglio di vecchie tv, radio e pezzi d’ogni genere sommersi dalla polvere.
“Da appena dopo la guerra ho trascorso tutta la mia vita aggiustando tv e radio. Ora da 17 anni cerco solo di far funzionare radio d’epoca che sono state spente per trent’anni”, racconta l’84enne Elio. Per questa passione che dura da una vita, Elio continua a riparare senza sosta.“Le radio da far ripartire ci sono, mancano i pezzi di ricambio. Per quelli mi adatto come posso, uso roba di recupero di anni e anni di riparazioni”. Certo, dopo di lui sarà difficile immaginare il continuo, visto che a Rimini, per adesso, non c’è nessun altro che fa lo stesso. “Magari qualche hobbista nel suo garage” ipotizza.
Sono mosche bianche tutti quelli che aggiustano le biciclette: Gianluca ha ereditato le competenze da suo padre e da circa 20 anni ripara due ruote insieme al cugino.
“Il giro dei clienti ormai c’è ma questo è un lavoro poco considerato sia per i soldi sia per il tempo investito. Spendi mezzo pomeriggio per mettere a punto una bici ma al cliente non interessa nulla, anzi, si litiga per un euro!”, lamenta. Per arrivare a fine mese, alcuni del mestiere, affiancano alle riparazioni la vendita al dettaglio di bici. “Sarebbe dura andare avanti solo aggiustando le due ruote, si guadagna troppo poco, così ho deciso di venderle” svela il proprietario dello storico negozio In Bici di via Bertola.
Abbinare artigianato e commercio è una soluzione molto quotata dai laboratori orafi. Proprio i maestri dell’oro, poco più di cinque in città, oltre a lavorarlo allestiscono vetrine per esporre gli oggetti creati. “Vivere di sole riparazioni di collanine o altro sarebbe folle. Molti miei colleghi vendono al dettaglio o come me lavorano per altri grandi negozi”, spiega il maestro orafo di via Minghetti che da 34 anni svolge questo mestiere. “La crisi si sente, molta gente si ferma in negozio perché vuol vendere l’oro di famiglia per trarne dei liquidi. Io non acquisto ma questa sta diventando una pratica diffusa.
Quelli di cui si è persa qualsiasi traccia sono i maestri legatori: sono tre e con tanta crisi.
“Fino a 10 anni fa c’era molto da fare e mi dispiaceva tanto che i miei figli avessero preso altre strade. Invece è andata meglio così. Con questo calo di lavoro e sensibilità verso il manufatto del libro, non ci sono molte probabilità di sopravvivenza”, racconta Claudio, maestro legatore del borgo San Giovanni. L’alternativa è inventarsi qualcos’altro per essere ancora appetibili sul mercato: chi affianca la vendita, chi si specializza solo in un settore e chi come Claudio sostenuto “da lavori importanti per il Vaticano”. Qualcun altro da restauratore diventa costruttore di mobili, come Antonino del negozio La Trinacria. Da 50 anni sulla piazza è uno degli ultimi superstiti del mestiere. “I miei colleghi hanno chiuso quasi tutti e io non so che fare. Da agosto scorso c’è stato un tracollo e non si batte nemmeno un chiodo. Sto costruendo qualche tavolino in legno, magari lo vendo. Lo sa qual è la questione? Ora la gente compra solo plastica e del buon legno non vuol sentire parlare, perché è un materiale sempre vivo che va curato”.
In tanta sfiducia nel futuro molti hanno già fatto le valigie come ciabattini, maniscalchi, bottai, magliaie. Un anziano del Centro ricorda le varie botteghe e tra le tante “il pulitore di rame, ottone e argento in via Bufalini, traversa del Corso Augusto. Era sempre pieno di lavoro”.
Marzia Caserio