Ne il Ponte del 29 giugno abbiamo collezionato progetti e paure dei giovani maturandi riminesi che guardano al futuro. Ne è uscito un quadro poco incoraggiante. La società – mass media compresi – sembra avercela messa tutta nel demoralizzare chi dovrebbe vivere l’apice della speranza. Ragazzi disposti a tutto, “purché si lavori”. Curricula che tardano a completarsi, “tanto non li legge nessuno”. Eppure le imprese chiedono l’opposto: perseveranza e passione. Il mercato del lavoro si è contratto nell’ultimo quinquennio, ma sono fioccate nuove professioni, dal web marketing al settore biomedico.
Scegliere cosa fare del proprio futuro e conoscere se stessi a 19 anni non è cosa facile, e un contesto scoraggiante può confondere. Per chi non sa che pesce pigliare, o per chi è indeciso fra troppe strade, le previsioni dicono: estate rovente. Spesso, poi, ricadono le aspettative di una famiglia esigente che ha in mente un percorso preciso per il proprio pargolo.
Quali dunque i consigli per affrontare queste giornate pensierose? Come dovrebbero comportarsi amici e familiari? È ancora possibile scegliere una scuola in base ai propri interessi o va assecondata la crisi ricercando quelle università “che danno lavoro”?
Il vademecum del docente. Sfatiamo subito un falso mito: la laurea non è un “pezzo di carta” che non dà più lavoro. In base alle statistiche Istat la disoccupazione tra i giovani laureati è minore rispetto a chi non è laureato. Cosa fa la differenza?
“Alle aziende non piace chi ha prolungato troppo gli studi, mentre le esperienze (come quelle all’estero), le lingue e l’aver seguito un percorso fruttuoso sì”, spiega il Prof. Antonello Scorcu, la massima carica del Polo universitario riminese, secondo il quale ci vuole grande convinzione nel scegliere l’università.
“Chi ha avuto un percorso lineare alle superiori sa se è più portato, ad esempio, per la matematica o per le lettere. Nei casi meno netti si rischiano scelte poco limpide. Chi non è portato per la matematica si domanda: lettere o giurisprudenza? C’è una bella differenza. Un indirizzo va scelto in base ad una passione, non perché si restringe il campo, altrimenti seguiranno anni di sofferenza e una professione che non piace. Quando inseguire i propri sogni se non a 20 anni?”.
Il vademecum prosegue. “Informarsi sugli sbocchi professionali per vedere quanto questi rispecchino le ambizioni personali”. Poi, darsi una prospettiva: “Aprirsi alle lingue e al mondo esterno con grande curiosità. In Italia abbiamo pochi laureati che possono competere con i colleghi coreani, giapponesi, cinesi… Anche per chi rimane nella propria città il mercato è globale, diverso da dieci anni fa”.
L’impegno non deve essere scontato, sottolinea Scorcu: “La laurea non dà lavoro in automatico. È importante arricchire il proprio profilo con esperienze valide come corsi internazionali, progetti Erasmus e altre occasioni”.
Chi ben comincia… All’università è fondamentale partire con il piede giusto. “Dopo un mese e mezzo ci sono già le prime prove parziali; dopo tre mesi gli appelli”. Ma non si tratta solo di un elenco di esami da superare. “Talvolta gli ex-studenti confessano di rimpiangere di non aver colto più occasioni quando ne avevano la possibilità. È un peccato, e uno spreco di risorse. Il percorso non va affrontato col part-time mentale; gli esami non sono compartimenti stagni: occorre dare significato alle cose e sapersi organizzare”. Poi, come nel mondo del lavoro, in aula si impara anche “a fare squadra, a mettersi in gioco e ad essere umili”.
La battaglia da combattere? “Dimostrare a se stessi, prima che agli altri, quanto si vale. Spesso noto ragazzi che potrebbero fare di più, ma che si accontentano di percorsi mediocri. L’università è un piccolo mare in cui bisogna essere vivi: seguire lezioni, confrontarsi con i docenti, affrontare i tirocini come un’occasione di crescita”.
Ad un mondo del lavoro in continua evoluzione, il Polo di Rimini risponde con “un confronto costante con enti e associazioni per fare aggiustamenti importanti alla didattica in base alle esigenze del territorio. Infatti, già dopo una Triennale, il giovane trova al di fuori una realtà profondamente cambiata”.
Mirco Paganelli