Uno degli argomenti più interessanti quando si parla di storia è la ricerca delle arti e dei mestieri praticati in un determinato periodo e in un determinato contesto sociale. In base alle professioni svolte, infatti, è possibile scoprire la vita delle persone di altre epoche dalla prospettiva più chiara e genuina: la loro quotidianità. E non solo, particolari arti e mestieri permettono di comprendere anche il tipo di società presente in un dato periodo storico. Perfetto esempio in questo senso è il caso degli orefici. La presenza di oreficerie in una comunità, infatti, permette di capire diversi aspetti di una società: il livello di benessere economico, ad esempio, perché rivela la possibilità delle persone di acquistare beni preziosi e costosi, ma non di primaria necessità; oppure una più o meno intensa vita religiosa, pensando alla necessità di realizzare arredi e oggetti sacri. L’oreficeria, dunque, può essere un’interessante, quanto peculiare, chiave di lettura per la ricerca storica.
In questo senso risulta preziosa l’indagine svolta dallo storico riminese Oreste Delucca (nella foto) che, con un suo intervento sul libro L’oro nella Valle – Arti e mestieri in Valconca, di Gino Valeriani (2019), illustra la figura di Giovanni Andrea, noto orefice riminese, rivelando attraverso di lui uno spaccato della Rimini del Quattrocento.
Di seguito l’estratto del libro.
“Rievocando il mestiere dell’orefice nel Medioevo mi torna alla mente Giovanni Andrea, figlio di Pietro Giovanni, orefice originario del leggiadro castello di ‘Albareto’ posto nel territorio di Montescudo (oggi ‘Albereto’ ndr).
Il padre, Pietro Giovanni, era notaio e si era trasferito a Rimini nella contrada S. Silvestro, che si estendeva intorno a piazza della Fontana. […] Non si pensi che nel Quattrocento il mestiere del notaio avesse il prestigio dei nostri giorni: i notai erano numerosissimi e svolgevano ruoli modesti, spesso impiegati comunali con funzione di verbalista o di scrivano, oppure al servizio di enti monastici o di altre istituzioni religiose. Data l’elevata percentuale di analfabetismo, i notai erano in qualche misura i segretari del popolo: infatti, quelli di loro che esercitavano la libera professione, stipulavano atti molto spesso di mediocre importanza, cose che oggi si risolvono con una semplice scrittura privata. Non a caso lavoravano a domicilio, oppure scrivevano i propri atti in strada, o in qualche bottega di mercante. […] Giovanni Andrea, il figlio orefice, abitava e aveva bottega, probabilmente nella medesima casa paterna in contrada S. Silvestro, per l’appunto. Le carte superstiti ne fanno spesso menzione, fra il 1476 e il 1500 (oltre non mi sono spinto, nelle mie ricerche). Spesso però il suo nome compare semplicemente nel ruolo di testimone in atti altrui, stilati entro la sua bottega, ospitando notai con i quali era in evidente familiarità.
Un personaggio… autorevole
Giovanni Andrea nel corso degli anni dimostra sicuramente la sua serietà professionale e la sua probità. Ne abbiamo conferma dalla considerazione in cui è tenuto. L’amministrazione comunale, nella sua struttura, si avvale dei cittadini più affidabili assegnando loro incarichi di pubblico ufficiale: per controllare l’attività delle arti e della mercatura; per coadiuvare i funzionari preposti alla giustizia o alla gestione del territorio o alla cura della città; per sovraintendere ad alcuni particolari servizi pubblici. A tale proposito viene compilato e sovente aggiornato un elenco dei cittadini più autorevoli, fra cui periodicamente estrarre a sorte coloro ai quali affidare gli incarichi suddetti. Ebbene, nell’assegnazione del 4 luglio 1488, compare anche il nome di ‘Iohannes Andreas ser Petri ad ponderandum farinas’. Il nostro orefice ha dunque l’incarico di supervisore (a quel tempo si diceva ‘soprastante’) alla pesa comunale della farina, ruolo allora molto delicato e importante.
L’oreficeria riminese nel Quattrocento
La sua attività si inquadra nella schiera non piccola di orefici operanti a Rimini nel Quattrocento. Le ricerche d’archivio ne hanno censiti 91 (molti dei quali provenienti da fuori), a riprova di una economia cittadina piuttosto articolata, dove c’è spazio anche per oggetti voluttuari o comunque non di esigenza vitale, dove tuttavia hanno un ruolo non secondario le committenze di carattere religioso.
Non a caso gli orefici, per numero di addetti, si collocano al quindicesimo posto su un totale di 201 mestieri documentati in città. La loro professione è regolata da una specifica rubrica (numero 73, primo libro) dello statuto comunale, intitolata ‘De aurificibus et qualiter eorum artem debeant exercere’. Essa dispone che chi lavora oro e argento in proprio o per conto altrui, deve utilizzare oro di 16 carati oppure argento da bolognini, e non di minor lega, senza effettuare mescolanze con altri metalli o praticare altre frodi; intendendo con ciò tutti i lavori, sia battuti, filati o colati. L’eventuale trasgressore viene condannato ad una penale di 50 lire ed alla perdita dell’oggetto trattato. Per maggior garanzia, il podestà nomina annualmente due esperti con il potere di effettuare ispezioni almeno mensili presso tutti gli orefici, offrendo anche consulenza ai clienti interessati. I quali esperti devono inoltre verificare che gli orefici utilizzino solamente pesi, bilance e marchi giusti ed approvati, salvo applicare una penale di 25 lire.
Ciascun orefice a garanzia del proprio lavoro è tenuto a prestare una fideiussione di 100 lire nelle mani del massaro comunale, rinnovando ogni anno il giuramento di ben operare e non usare metalli di bassa lega. Inoltre il podestà deve convocare periodicamente tutti gli orefici ed i loro operai, illustrando i termini del presente statuto affinché non possano giustificarne l’ignoranza.
Attraverso le carte notarili si possono ricavare svariate notizie relative all’attività degli orefici riminesi nel Quattrocento: ad esempio l’accensione di mutui ‘ad mercandum in arte aurifisarie’; l’affitto di botteghe destinate all’arte e la loro vendita, con tanto di ‘fusina apta ad aurifisariam’; la stipula di contratti societari riguardanti l’attività di orefice; e naturalmente la vendita di preziosi. Le loro botteghe risultano ovviamente distribuite un po’ in tutte le 22 contrade e i 4 borghi principali della città; tuttavia si nota una particolare concentrazione sulla piazza della Fontana (oggi piazza Cavour) e nel braccio di Strada Maestra (oggi Corso d’Augusto) diretto verso la piazza del Foro (oggi piazza Tre Martiri). Delle 63 residenze che ci sono note, 28 appartengono per l’appunto a tale area (compresa quella di Giovanni Andrea).