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La primavera della legalità

Se bastasse l’arrivo della primavera a far soffiare un vento nuovo! Intanto il 21 marzo a Rimini un po’ di polline è stato sparso, e chissà che tra i più giovani non fiorisca davvero la volontà di guardare al mondo con occhi diversi. In fondo tutti possiamo fare qualcosa. Per questo è nata la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie: perché la primavera non basta, come non basta ricordare chi per mani mafiose ha perso la vita, come non basta dire che si è contro le mafie. La parola impegno non è casuale, e la conosce bene chi da anni cerca di cambiare le cose. Dario Vassallo, medico romano, quasi ha dimenticato cosa voglia dire essere un medico. Da tre anni gira l’Italia per far conoscere la realtà che gli ha strappato il fratello, Angelo Vassallo, il “sindaco pescatore” di Pollica. O come sottolinea lui stesso, “da 42 mesi e 16 giorni”, perché da quel 5 settembre 2010 non ha ancora smesso di contare. E di cercare la verità, perché quei sette colpi di pistola non si sa ancora chi li abbia sparati. Si sa che Angelo Vassallo era il sindaco della legalità, attento a difendere le bellezze del Cilento dagli speculatori, a portare avanti un modello di sviluppo che tutelasse l’ambiente. Si sa che per questo si era fatto dei nemici. Prima di essere assassinato aveva inviato sette lettere a Francesco Alfieri, l’allora assessore ai lavori pubblici di Salerno, per denunciare una “strada fantasma”, la Celso-Casalvellino, in cui i lavori non procedevano ma continuavano ad essere pagati. Nessuna risposta, e Alfieri dirà di non aver mai ricevuto nessuna lettera. Ma intanto, dopo la morte di Vassallo, saranno trovate quindici strade fantasma. Quello del fratello è il ricordo di un uomo lasciato solo con i suoi ideali, inascoltato dalla politica. Ma che può ancora essere un esempio. Per le istituzioni, ma anche per i ragazzi che il primo giorno di primavera hanno conosciuto la sua storia, nell’ennesimo tour de force di Dario, tra il liceo Valgimigli, l’Einstein e infine al Palazzo del Turismo di Bellaria. Perché ognuno può dare un contributo, a qualunque età e in qualunque luogo viva. Perché la mafia è più vicina di quanto pensiamo: è negli alberghi ceduti agli usurai, nelle proprietà confiscate, nella droga che circola nelle nostre piazze. E il denaro che ingenuamente diamo alla mafia, non fa che finanziare crimini come quello avvenuto a Pollica, 42 mesi e 16 giorni fa.

Come è cambiata la sua vita in questi tre anni senza Angelo?
“Non c’è una virgola uguale a prima, è come se fossi rinato di nuovo. È una vita che non ho scelto ma che purtroppo devo continuare a vivere perché, come Angelo ci ha insegnato, la morte fa parte della vita. Non dobbiamo fermarci alla commemorazione, piuttosto cercare di voltare pagina e aprirne una nuova, meno triste, con meno dolore e più speranza. Dobbiamo insegnare ai ragazzi che può esserci una vita diversa, che il mondo non può essere maltrattato in questo modo, e che deve esserci una nuova forma di politica, perché così non si può andare avanti”.

Sulla sua morte ancora nessuna verità. Nel frattempo è stato fermato Bruno Damiani, pusher salernitano già tra i sospettati dell’omicidio.
“Credo che Damiani sappia tante cose che noi non sappiamo, e spero che parli. Perché non si può uccidere un sindaco in un posto sperduto se non c’è un motivo ben chiaro. Pollica è un paesino, dopo 42 mesi l’assassino l’avrebbero già preso. In questi anni sono state messe in giro tante voci, e questo ha ostacolato il percorso delle indagini, ma la DIA di Salerno sta lavorando bene, ed è giusto lasciare che lavori in pace, qui non bisogna avere fretta. Il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, si è preso un impegno: non avrà pace finché non assicurerà chi ha ucciso Angelo alla giustizia. Io gli credo”.

Lei intanto che risposte si è dato?
“Intanto che l’omicidio di Angelo tocca vari settori, in particolare il mondo della droga e dunque della Camorra che vi è dietro. Ma tocca anche parti dello Stato che hanno fatto finta di non vedere. Il primo nemico di un sindaco sono le altre istituzioni, e la politica ha grosse responsabilità nella morte di mio fratello”.

Si riferisce all’isolamento subito da Angelo per il suo modo di fare politica?
“La bella politica dava fastidio. E l’isolamento che Angelo ha subito continua ancora oggi. Non si può accettare che un assessore ai Lavori Pubblici non veda 7 denunce fatte da mio fratello sulla strada fantasma di Salerno, eppure quello stesso assessore è stato ricandidato. Il Partito Democratico, e ricordiamo che mio fratello è morto con in tasca la tessera del PD, finora non ha fatto nulla. Deve fare molto di più, e fare di più significa che deve sapere chi candida, ma soprattutto chi non deve candidare. E parlo dell’Italia intera, non solo del Cilento. Io la chiamo politica feudale, dove un feudatario decide se devi essere onorevole, assessore o consigliere regionale. La Comunità del Parco Nazionale del Cilento, ad esempio, prima presieduta da Angelo, a tre anni dalla sua morte è ancora senza presidente. Questo è il segnale che i politici non pensano ai problemi veri, solo alle poltrone, al potere”.

Ma questo fino a tre anni fa non lo sapeva. Suo fratello gliene aveva mai parlato?
“Non ne parlavamo molto, e dopo la sua morte mi si è aperto di fronte uno scenario prima d’ora sconosciuto. È stato devastante, ci sono politici che fanno danni che non puoi dimostrare. Io ho capito che la vera politica la faccio dal 5 settembre 2010. È la politica con cui cerco di dare voce ai sindaci, cosa che lo Stato e gli organi di informazione non fanno. A chi subisce minacce, come il sindaco di Cetraro, Giuseppe Aieta, o i sindaci di Lecco e Follonica. Per difendere queste persone è necessario parlarne, informare il cittadino affinché sia più attento e le sostenga. La prima protezione viene proprio dal cittadino”.

La morte di Angelo Vassallo lascia un’opera incompiuta.
“I danni dell’omicidio di mio fratello si ripercuoteranno sul territorio per almeno quarant’anni. In molti non l’hanno capito, ma è successa una tragedia. Non è stato ucciso un uomo, è stato ucciso lo Stato, lo straordinario modello di sviluppo che mio fratello aveva creato e che poteva essere adottato da altri comuni. Come diceva Angelo, la vera ricchezza si crea con quello che hai, è il posto in cui vivi. Ma per mettere in pratica questo modello vanno recisi i lacci che ci legano a un retaggio culturale di cent’anni fa, lo stesso che ancora oggi impedisce di espropriare un terreno per farne una strada perché è del politico o del signore di turno, o del parente, dell’amico. Chi fa politica non deve avere questi legami”.

È ancora deciso a girare l’Italia nel nome delle vittime della mafia?
“Sto facendo un percorso mio, e continuo ad andare dovunque per portarlo avanti. Ma non ha senso il giorno della memoria per le vittime della mafia se non pensiamo anche alle cose concrete, a chi non ha i soldi per mandare avanti la famiglia, a chi oggi per questo si toglie la vita. Accetterei anche di non sapere la verità su mio fratello purché si facesse una politica diversa. Se ne vale la pena? Me lo chiedo spesso, e non so che rispondermi, mi sembra di continuare a vivere in un mondo che è sottosopra.Perlomeno questo percorso finora ha unito tante brave persone. Perché il 95% gli italiani è buono. È quel 5% che va cambiato”.

Isabella Ciotti