Più che una preghiera, un colloquio. E come in tutte le più familiari chiacchierate, alcuni sentimenti, alcune espressioni, alcuni stati d’animo vengono espressi (meglio?) con la lingua dei padri e della terra. Così ha fatto il Vescovo di Rimini nel suo colloquio con la Madre di Dio.
Al termine della Messa festiva di domenica 22 marzo, trasmessa in diretta sui canali del Gruppo Icaro, mons. Francesco Lambiasi ha pronunciato una preghiera-colloquio che già nel titolo parla in dialetto, con una frase tipica: “Tin bota!”.
Chiama Maria, Mà. E al termine di questo filiale colloquio con Maria, Madre di misericordia, Santa Maria, donna dagli occhi limpidi e vigilanti, il Vescovo ha ribadito a Maria di non stancarsi mai di ripeterci: “T’nì bota anche vuielt, fiul!”.
Ecco il testo integrale della preghiera-colloquio del Vescovo.
Tin bota, Mà!
Colloquio con Maria, Madre di misericordia
Santa Maria, donna dagli occhi limpidi e vigilanti,
rivolgi a noi il tuo sguardo dolce e commosso
ora che ci siamo smarriti in una buia selva
di spinose domande e di scarse risposte.
Aiutaci a guardare alla tragedia che ci va affliggendo
non come a un castigo rifilatoci da un destino cinico e baro,
ma come a un improrogabile richiamo a cambiare vita,
per vivere giorni e opere di fraterna comunione,
con tangibile gratuità e fattiva condivisione.
Santa Maria, discepola dall’ascolto umile e disponibile,
iscrivici alla tua scuola dove tu ci insegni l’arte preziosa del silenzio,
e ci fai riconoscere chi meriti il diritto della prima parola:
il tuo Figlio, Parola fatta di carne, e carne crocifissa,
e il grido straziante dei suoi e nostri fratelli più poveri.
Tu che a Cana ci hai pregato di fare qualsiasi cosa Gesù ci dica,
dacci una mano per non ridurci in quest’ora drammatica
a monotoni ripetitori di fraseggi leziosi e patetici slogans,
ma per divenire docili uditori e solleciti ‘facitori’ della Parola.
Santa Maria, sorella dal cuore puro e misericordioso,
ricordaci che amare significa decentrarsi e uscire da sé.
Non darti pace fino a quando staremo rannicchiati
nella bolla soffocante del nostro penoso egoismo.
Facci sentire un’acuta nostalgia di relazioni calde e trasparenti.
Aiutaci a ricucire in un delicato lavoro di tessitura
strappi laceranti, tristi fratture e assurdi conflitti,
per convergere in una appassionata ricerca del bene comune
e in una spinta tenace verso una fraternità senza né scarti né riserve.
Santa Maria, madre dalle mani nodose e tenere,
tu, gentile Signora di poche parole, non stare a guardare.
Scendi dal trono, vieni in mezzo a noi e allunga le tue braccia
per tergere le lacrime amare dei nostri fratelli ammalati.
Addolcisci con carezze di madre l’impotenza dei loro cari.
Riempi di contatti cordiali e discreti il tempo acerbo di chi è solo.
Alleggerisci con adeguato supporto l’immane fatica di medici,
infermieri, operatori sanitari, assistenti sociali e volontari.
Illumina i nostri governanti perché siano saggi e concordi
nel trovare soluzioni mirate e risorse efficaci per tutti.
Rivesti della tua carità i nostri pastori e i loro collaboratori,
perché annuncino l’indispensabile profezia della speranza
ed esercitino l’insostituibile servizio della consolazione.
Guarda con materna comprensione il cristiano che dubita
e il non credente che ora più di prima fatica a credere.
Spalanca la casa del Padre ai nostri cari che ci hanno lasciato
e al loro arrivo organizza una festa senza più né fine né paura né pianto…
Madre cara, Maria carissima, noi ti diciamo: “Tin bota, Mà!”.
E tu non stancarti di ripeterci: “T’nì bota anche vuielt, fiul!”.