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La poesia assoluta della luce

Da oltre mezzo secolo esercita una pittura “onesta e pulita… alimentata dalla sana tradizione e dalla ricerca, non bislacca, del nuovo”, come ebbe a definirla il suo maestro, l’artista riminese Luigi Pasquini. Eppure le pennellate di Giorgio Bellini non sono conservatrici, nel senso deteriore del termine. Un bell’esempio lo si ha nella mostra ospitata fino al 31 luglio presso la Rocca Malatestiana di Montefiore Conca.
Una trentina di opere esposte tra le quali, oltre ai melograni e alla stessa Rocca montefiorese, si fanno largo quelle “visioni velate” che sono la cifra dell’ultimo periodo artistico del pittore della Valmarecchia. Questa peculiarità tutta belliniana è una poetica della cosiddetta velatura, ideale “cerniera” tra paesaggio interiore ed esteriore, considerando la realtà evidente un elemento non vincolante per l’espressione artistica.

Un’azione pittorica lenta e misurata, secondo la felice espressione del critico Alessandro Giovanardi, capace di trasportare a Montefiore e tra i calanchi della vallata, fino a scendere sul Conero per risalire verso San Marino. “La poesia assoluta della luce” (questo il titolo della esposizione, con catalogo presentato da Gerardo Filiberto Dasi) porta alle estreme conseguenze le caligini da anni sempre più spesse e ricercate nella pittura del Bellini. La poetica della “velatura” del paesaggio si estenua fino ad assumere in sé l’irriconoscibilità come valore poetico nuovo e definitivo: l’elemento paesaggistico tradizionale viene volutamente sottoposto a un’operazione di occultamento storico e geografico, per cui la dialettica di visibile-invisibile s’accresce del contrasto tra radicamento e spaesamento.
Nato a Vergiano nel 1937 e diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma, Bellini da tempo vive a Corpolò, in Valmarecchia, e con l sua arte ha attirato negli anni l’attenzione di molti intenditori d’arte: Luigi Pasquini, Enzo Dall’Ara, Gerardo Filiberto Dasi, Luca Cesari, Vittorio Sgarbi, Antonio Paolucci, Gabriello Milantoni, Bianca Arcangeli.
Il paesaggio che prende “forma” sotto le sue pennellate sembra sempre più disancorato dalla realtà, e ormai del tutto interiore e spirituale. Una “nebbia” che non sembra la metafora inquietante della morte e dell’ignoto, quanto piuttosto un cammino verso la luce da affrontare con fiducia e gioia. I suoi trasognati orizzonti pittorici ribadiscono un orizzonte di vita. “L’Arte nasce con l’uomo, armonia e voce dell’anima, nel cogliere l’opera di Dio. – ha scritto Bellini sul retro del catalogo – Se tale, sempre sarà un meraviglioso messaggio d’amore, luce di libertà, fede”.

t.c.