È una delle opere più importanti e iconiche (c’è chi si spinge a definirla la più importante) ospitate al Museo della Città di Rimini. Eppure delle sue storie espositive, delle vicissitudini belliche, dei restauri che l’hanno interessata ben poco si sa. Dalla mostra di Londra del 1930 ai giorni nostri, le vicende che ci hanno consegnato questo capolavoro sono spesso sorprendenti e ricche di sfumature che talvolta rasentano il giallo o la spy story.
Ad alzare il velo sulle vicende che hanno per protagonista questa Pietà e il suo Autore, Giovanni Bellini, ci ha pensato lo storico dell’arte riminese Giulio Zavatta, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, i cui studi possono così arricchire la conoscenza della storia di un’opera oggetto di indagine da parte dei maggiori critici. Zavatta ha sintetizzato i suoi studi nella conferenza dal titolo “Giovanni Bellini: la Pietà di Rimini on the road”, organizzata nella Sala del Giudizio del Museo della Città, terzo appuntamento con “I Venerdì di Italia Nostra”.
La Pietà (o Cristo morto sorretto dagli angeli) è un dipinto tempera su tavola (80,5×120 cm), databile al 1470 circa e conservato nel Museo della Città.
Proveniente dal Tempio Malatestiano, la tavola è considerata, tra le numerose Pietà dell’artista, un’opera della prima maturità, databile vicino alla famosa Pietà di Brera.
Quello di Zavatta è un lungo studio che sarà pubblicato su “Storia dell’arte”, rivista dell’Università di Roma tra le più importanti d’Italia. Su chi abbia veramente commissionato l’opera a Bellini, c’è ancora incertezza e il Vasari non aiuta a risolvere compiutamente il mistero. Zavatta si concentra però su un altro aspetto: la storia delle esposizioni e dei restauri del dipinto, una vicenda incredibilmente condensata nel quarantennio 1930-1970.
Tutto prende l’avvio proprio nel 1930, “ quando la fragile tavola uscì per la prima volta dalla città che l’ha sempre custodita fin dal XV secolo per essere esposta a Londra all’Exhibition of Italian Art 1200-1900”. Fu lo stesso Mussolini (al tempo più vicino alle posizioni di Chamberlain che a Hitler) a volere che la Pietà di Rimini venisse spedita alla grande mostra d’arte italiana, un evento cuturale di chiaro stampa propagandistico.
Sotto la regia di Oietti ed Ettore Modigliani, quasi un migliaio di quadri (da Leonardo a Botticelli fino al Caravaggio) partirono da Genova in nave e a causa di una tempesta rischiarono di finire in acqua. “Presso la Biblioteca Gambalunga sono conservati documenti e carteggi relativi al prestito. – spiega Zavatta – In quell’occasione, la Pietà fu restaurata dal più grande restauratore del tempo, Mauro Pellicioli. L’allora direttore della Gambalunga e del Museo Carlo Lucchesi aveva il terrore di spedire l’opera. Temeva che venisse falsificata.
Per questo motivo scrisse al Podestà Palloni chiedendo di rimanere chiuso per tre giorni dentro al Museo, insieme al braccio destro Ravaioli, al fine di apporre segni inequivocabili che ne attestassero l’originalità”.
Un’assicurazione esagerata? Prima di Londra, la Pietà in 400 anni non era mai uscita da Rimini. Lucchesi appose l’impronta del proprio pollice destro in tre parti dell’opera, la Pietà tornò sana e salva e restaurata da Londra. Durante la guerra fu nascosta a Torricella nel palazzo di Mattei Gentili, nel ‘49 farà parte della grande mostra su Bellini, a Palazzo Ducale restaurata da Pellicioli, per rimanere ferma 20 anni. Tra il 1968-69 ci si accorge che dietro la barchettatura si erano insinuati dei tarli. Partì allora un intervento che sembrava risolutivo, grazie al restauro di Ottorino Nonfarmale che ha regalato il dipinto com’è oggi: la tavola di legno è stata asportata, è rimasta solo la lastra pittorica.
“Per 400 anni l’opera sta a Rimini tra Tempio Malatestiano e Palazzo Comunale, in 40 anni perde il suo supporto originale. E dagli anni Duemila è l’opera più prestata al mondo tra i capolavori del Quattrocento – rivela Zavatta – esposta in oltre dieci mostre in giro per il mondo, con oltre mille giorni di permanenza fuori casa, con un’assicurazione sicuramente inferiore al suo valore, quando l’ultimo restauro risale a 53 anni fa”.