È stata chiamata la chiesa del Meeting per via di quella prima pietra benedetta dal papa Giovanni Paolo II in quella storica sua visita a Rimini il 29 agosto del 1982. Ma traslocando la Fiera, anche la chiesa ha perso la sua “parentela” col Meeting e si è sempre più incarnata nella realtà territoriale del suo quartiere.
Ma anche l’originaria fraternità sacerdotale, quella del 1971, posta a guida della nascente comunità, col tempo si è andata assottigliando: don Giancarlo Ugolini è divenuto responsabile del Movimento di C.L., don Mario Vannini è andato parroco a San Giuseppe al Porto, e, un poco più tardi, anche don Enrico De Luigi si è trasferito nella neonata parrocchia di Maria, Mater Misericordiae.
A conservare il “testimone”, affidatogli da monsignor Biancheri, è rimasto solo don Domenico Valgimigli… aiutato di volta in volta da collaboratori che, dopo positiva e salutare esperienza, passavano ad altro incarico.
Don Domenico, come ricordi i primi tempi del vostro ministero, come vi siete organizzati, dove abitavate?
“Bisogna dire che questa zona, che oggi è città piena, allora era una disordinata periferia in fase di progettazione e costruzione. Pensa che la via Euterpe, dove noi abbiamo costruito la chiesa, non esisteva neppure. Noi preti abitavamo in un appartamento in affitto e per chiesa usavamo la cappellina delle Suore di Cristo Re e altri locali occasionali. Non potevamo neanche progettare una nostra casa e meno che meno la chiesa, non solo per mancanza di soldi, ma perché ancora il Comune, nel suo piano di urbanizzazione, non aveva deciso quale area destinare per le strutture religiose”.
Questa era allora zona di campagna e ne fa fede la casa colonica che ancora oggi occupi come canonica.
“Quando finalmente il Comune destinò questa zona ad uso religioso, la Diocesi comprò questa casa colonica con tutta l’area che sarebbe poi servita alla chiesa e alle opere parrocchiali. A Betlemme Gesù trovò una mangiatoia pronta ad accoglierlo, noi invece abbiamo dovuto abbattere le mangiatoie per fare la prima sala parrocchiale, oggi circolo Anspi. Ad ogni modo anche noi, come Gesù, siamo nati in una stalla”.
E la gente, anche se più rada di oggi, come ha reagito, come vi ha accolti?
“Prima vorrei dirti il nostro atteggiamento nei confronti della gente. Eravamo lì non per fare delle prediche, ma per dare una testimonianza. Volevamo essere testimoni di Cristo attraverso l’amore fraterno, l’attenzione a tutti, la vicinanza ai malati e ai bisognosi… Ad aiutarci in questo c’erano anche alcune famiglie del Movimento di Comunione e Liberazione. La gente è rimasta profondamente colpita dalla nostra fraternità e dal vedere dei laici collaborare attivamente coi preti. Posso dire in generale che la gente ci ha accolti con simpatia. Una signora, per esempio, che viveva vicino alla nostra casa, vedendoci al mattino pregare insieme, ci ha detto: «perché qualche volta non venite a pregare a casa mia … posso offrirvi anche il caffè». E poi, poiché non avevamo strutture parrocchiali di nessun genere, tante famiglie hanno messo a disposizione degli spazi nelle loro case per il catechismo, per la preghiera e anche per la messa”.
E come siete arrivati a scegliere il nome “Riconciliazione” a questa parrocchia?
“È accaduto nei primi tempi, durante un’assemblea coi parrocchiani. Ci si chiedeva: che nome possiamo dare alla nostra parrocchia? Un tale mugugnò qualcosa che a don Mario, nella sua acuta intelligenza, suonò come Riconciliazione. E fu subito pronto a completare: mi sembra un’ottima idea, la chiameremo Gesù, nostra Riconciliazione. E così è stato ed è tutt’ora”.
Veniamo adesso ai giorni nostri: quarant’anni di parrocchia, una chiesa bella e spaziosa, collaboratori sempre più qualificati e attivi … Quale progetto pastorale state attuando?
“Più che un piano pastorale ci sembra necessario proporci un cammino. C’è già chi ha un progetto sulla persona e sulla comunità: il Padre. C’è già chi ha incominciato a realizzare il disegno del Padre: il Figlio. E c’è già la via (metodo) attraverso cui il disegno si realizza e si compie: lo Spirito Santo, vivente e operante nella Chiesa – Corpo di Cristo.
Noi dobbiamo essere attenti per riconoscere il progetto divino che si sta realizzando nella Chiesa, nella storia, anche oggi: dobbiamo collaborare attivamente alla missione della Chiesa secondo i segni che lo Spirito suscita; dobbiamo sperimentare sempre più la comunione divina nell’appartenenza alla comunità cristiana, anche in mezzo alle persecuzioni”.
Concretamente a quali gesti e su quali cammini vi sta conducendo lo Spirito Santo?
“Con quarant’anni di storia sulle spalle mi sembra giunto il momento che i laici si assumano tutta la loro responsabilità nella vita pastorale e di evangelizzazione. Mi piace chiamarla «la pastorale del vicino», l’impegno, cioè, di ogni cristiano a portare l’annuncio di fede ai propri vicini di casa o di via. Così in ogni Cantone (la parrocchia è strutturata in quattro cantoni), coi responsabili di Cantone abbiamo cercato di individuare delle persone disponibili a farsi portatrici del messaggio di Gesù e della parrocchia al proprio vicino di casa, di condominio, di via. Abbiamo iniziato questo lavoro nell’ottobre scorso e già ha portato il sorprendente frutto di 150 laici che, in quaresima, hanno portato la benedizione pasquale alle famiglie. Attualmente siamo impegnati ad animare il mese di maggio col rosario e con la processione finale che, partendo dalla parrocchia, arriverà alla celletta ai confini della parrocchia stessa. Lungo l’itinerario le persone di cinque vie avranno il compito di realizzare i cinque quadri dei misteri del rosario”.
Come hai fatto a coinvolgere in modo così impegnativo tanti laici?
“Durante la messa che celebro in settimana con piccoli gruppi di famiglie, ho lanciato la proposta e con mia sorpresa hanno risposto in più di 150. Da qui poi l’idea di allargare e continuare l’impegno «missionario» coi propri vicini”.
Tu sei l’assistente diocesano e regionale dei gruppi di preghiera di Padre Pio: ma suppongo che questo gruppo non sarà l’unica realtà aggregativa della tua parrocchia.
“Certamente no. Esistono anche altri gruppi di preghiera e di servizio: due gruppi di Rinnovamento nello Spirito, un Centro di Solidarietà (Caritas), il circolo ANSPI «Il Casolare», il Centro d’Amicizia per le problematiche giovanili, il centro missionario, il Coro polifonico… Con alcuni gruppi si realizzano momenti significativi di preghiera e di adorazione”.
Don Domenico, dopo il periodo d’oro della fraternità sacerdotale, ha avuto diversi sacerdoti collaboratori. Oggi è rimasto solo, in una parrocchia che conta 6000 abitanti circa. Ma proprio solo non è: collabora con lui il diacono permanente Francesco Soldati.
“Purtroppo io ancora lavoro – <+nero>interviene Francesco<+testo_band> – e quindi il mio tempo a disposizione per la parrocchia non è tanto. Inoltre alla domenica faccio servizio anche in ospedale. Qui in parrocchia, comunque, mi occupo soprattutto della liturgia e di accompagnare il gruppo liturgico. Nel gruppo non ci sono solo i ministri istituiti, ma anche quei preziosi collaboratori e collaboratrici che curano il decoro e l’ordine della chiesa, che ci fanno trovare sempre pronti e puliti gli arredi sacri”.
Torniamo a don Domenico. A settembre prossimo giungerai alla fatidica soglia dei 75 anni. Cosa pensi di fare, secondo il diritto canonico?
“Dal momento che mi sento ancora abbastanza in forze e dal momento che abbiamo iniziato una bella e promettente collaborazione pastorale coi laici, penserei di poter rimanere ancora un po’. E poi, con la pastorale integrata, in collaborazione con don Tarcisio del Villaggio 1° Maggio, spero di avere anche qualche aiuto in più. Naturalmente tutto dipende dal Vescovo… Ne parleremo prossimamente”.
Egidio Brigliadori