“Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra”. Queste parole di Gianni Rodari sono sintatticamente semplici e dal significato immediato. Niente metafore, niente allegorie. E chiunque, ad una prima lettura, riesce a comprenderle e a condividerle. O meglio, almeno dovrebbe essere così. Il mondo, nei suoi mille angoli, tra lo scorrere dei secoli, è stato testimone di indicibili battaglie, orrori e conflitti. Quasi fossero una prerogativa indispensabile e inevitabile. Un qualcosa che, seppur con tanti sforzi per evitarle, scoppiano, si riaccendono infinite volte e sempre più atroci e disumane. Eppure è strano… fin da bambini ci viene insegnato ad essere buoni cittadini, persone per bene, mai violente, mai aggressive. E poi? Cosa accade? Giunti all’età giusta per comprendere la ferocia della realtà, quasi sospiriamo, frustrati, ormai avvezzi. E i giovani? Le nuove generazioni cosa dovrebbero pensare di tutto questo? Si interessano?
I conflitti nel mondo
Per avere un quadro più completo, diamo un’occhiata a cosa accade nel mondo al giorno d’oggi. Conflitto in Afghanistan. Crisi dello Yemen. Guerra russo-ucraina. Guerra di Gaza, o israelo-palestinese. Guerra civile in Myanmar. Conflitto del Tigray, in Etiopia. Sono solo accenni ad alcune delle guerre in corso attualmente. Storie quotidiane di sofferenze, morti, violenza. Secondo il Global Peace Index 2023 (Indice della Pace Globale, ndr) si svela che il livello medio di pace globale è peggiorato per il nono anno consecutivo, con un aumento delle morti dovute ai conflitti del 96% rispetto all’anno precedente. Per l’ottavo anno consecutivo l’Afghanistan è il Paese meno pacifico, seguito da Yemen, Siria, Russia e Sud Sudan. Nel corso del 2024, secondo la lista annuale dell’International Rescue Committee sui 20 Paesi più a rischio di intensificazione dell’emergenza umanitaria a causa delle guerre, il 10% della popolazione mondiale potrebbe veder peggiorare ulteriormente le proprie condizioni.
Gli interventi e le marce della pace
Sono tanti, tantissimi, gli aiuti umanitari organizzati a livello internazionale che coinvolgono volontari, associazioni e organizzazioni non governative. E principalmente a cosa servono? Salvare vite umane, evitare che si verifichino o si estendano le epidemie, garantire assistenza logistica e sanitaria, la fornitura di prodotti alimentari di prima necessità.
Ma non sono gli unici interventi che si possono attuare in questi casi. Perché la pace è un qualcosa che va custodita anche attraverso capillari attività di sensibilizzazione, che vede impegnati in prima persona gli stessi cittadini. Sono innumerevoli, infatti, anche le marce per incentivare e favorire la pace. Certo, potrebbero sembrare meno efficaci, ma non è affatto così. Riunirsi, raggrupparsi e marciare per far sentire che la comunità c’è, che la comunità si interessa. C’è chi suppone, tuttavia, che i primi a non farsi troppo sentire siano proprio i giovani. Proprio quelli che accorrono sempre numerosi con cartelli e slogan da brandire nelle piazze per tanti altri problemi sociali come il cambiamento climatico, la violenza sulle donne, le ingiustizie. È davvero così? E se sì, perché avviene questo? Chiediamolo ad alcuni ragazzi di Rimini.
Il parere dei riminesi della nuova generazione
“Il dito viene sempre puntato su noi ragazzi, – sbuffa Silvia, 26 anni – perché è sempre semplice prendersela con chi, a detta degli ‘adulti’, non ha ancora capito come si sta al mondo. Non è così. Il mondo, noi, lo vediamo davvero per quello che è: martoriato, emaciato, sfruttato, decadente. E questo non è il risultato delle scelte dei giovani. Noi ne stiamo solo vivendo le estenuanti conseguenze. Accendiamo il telegiornale e le notizie che si susseguono in una serie di orrori, errori e violenze, ci fanno accapponare la pelle. Io penso: è questo il Pianeta dove viviamo e vivremo? Da che ne ho memoria, la guerra c’è sempre stata. Forse è anche vero che, dei partecipanti alle marce della pace, i ragazzi costituiscono una minoranza, ma naturalmente non è perché non ci importa. Per quanto riguarda me, il motivo risiede in una preoccupante assuefazione al fenomeno. Mi spiego meglio: a scuola abbiamo studiato le guerre puniche, quelle napoleoniche, fino a giungere a quelle mondiali, alla guerra fredda… e mentre cercavamo di apprenderne le ragioni, le cause e le loro conseguenze, miriadi di altri conflitti si consumavano e ancora si consumano in Paesi lontani e vicini. Nessuno, a parer mio, sembra aver imparato dal passato. E di conseguenza anche le tante marce sembrano, dunque, non avere riscontri positivi. Siamo nuove generazioni già stanche e appesantite. Non potete additarci se non partecipiamo attivamente a questi interventi, se siamo già disillusi dai loro effetti e ripeto: non per causa nostra”.
Disillusi, sì, ma per altri motivi scendono in piazza più numerosi che mai. Alice, 22 anni, tenta di dare una spiegazione. “Il cambiamento climatico e la violenza sulle donne sono probabilmente temi che ci toccano più da vicino, anzi quasi ci placcano. Ci svegliamo una mattina di febbraio e quasi siamo indecisi se mettere il giacchetto o meno, tanto il calore strano del periodo ci destabilizza; oppure chiacchieriamo amabilmente al bar con la nostra migliore amica mentre ci racconta del litigio avuto con il suo fidanzato e quasi istantaneamente ci preoccupiamo che la sua gelosia possa sfociare in qualcosa di pericoloso… Siamo sensibili a ciò che accade intorno a noi, nel quartiere affianco al nostro, nella stessa classe a scuola, perché sono questi i rischi che corriamo qui e ora. Non mi reputo egoista, o disinteressata ai conflitti in corso nel mondo, anzi ho partecipato attivamente a più raccolte di beni di prima necessità per le vittime di guerre lontane, mi sono fatta avanti come volontaria per tante altre iniziative simili, però ecco… anni e anni di marce della pace non sono riusciti a fermare nessun conflitto. Prediligo altri tipi di interventi, più concreti. E di certo, non mi tiro indietro”.
“Io invece ne vedo sempre tanti nella folla. – precisa Filippo, 24 anni – Ognuno di noi fa quel che può, aiuta ed interviene come meglio crede. Ogni comunità dovrebbe imparare a farsi avanti, invocare ciò che non solo è giusto, come la pace, ma necessario oggi più che mai”.