Nel clima di generale rinascita del cinema documentario, c’è un autore riminese che riveste un ruolo da protagonista. Marco Bertozzi è reduce dal successo ottenuto al Festival del cinema di Roma con il film Predappio in luce al quale ha fatto seguire il libro Storia del documentario italiano, fresco vincitore del “Premio Domenico Meccoli” quale miglior libro di cinema 2008.
Due opere che valgono applausi a Bertozzi, che da anni coniuga la produzione registica e l’impegno in istituzioni culturali del documentario, la ricerca e le attività didattiche in varie università. Per una volta, il regista riminese ha pure sfatato l’adagio che vuole “nessuno profeta in patria”, presentando i lavori alla Cineteca Comunale.
Come regista attento all’antropologia del vivere urbano, al 40° Pesaro Film Festival si fece apprezzare per Fieri… e basta (1999), indagine sulle tribù giovanili riminesi, mentre a Locarno 2004 propose Appunti romani. Con Rimini Lampedusa Italia Bertozzi affrontava un aspetto inedito della città: quella comunità di pescatori lampedusani che iniziò a immigrare 40 anni fa, quando i riminesi avevano abbandonato la pesca. Al 21° Torino Film Festival il suo Rimini Lampedusa Italia era in concorso.
Del documentario Predappio in luce la grande stampa italiana se n’è occupata in seguito alla presentazione romana. Alcuni giornalisti, senza averlo visto, avevano maliziosamente sentenziato che il documentario fosse per nostalgici.
“Il film cerca invece di scavare nelle pieghe della propaganda del tempo (i materiali filmici prodotti negli anni 20 e 30) per rovesciarne il segno e capire meglio gli immaginari della Predappio contemporanea. Avvalendomi delle testimonianze degli storici Pierre Sorlin e David Forgacs, ho ricostruito le vicende della prima città di fondazione fascista, oggi meta di un turismo della memoria legato ai natali del duce e basato su souvenir pseudo storici. Al film han collaborato diverse realtà riminesi: dalla società di produzione Almafilm, a Bottega Video per il montaggio, Giorgio Fabbri Casadei per le musiche, e Andrea Fellial al missaggio”.
Bertozzi, lei è passato dagli Arbreshe ai lampedusani ad indagare la città del Duce. Perché questo salto?
“Due sono gli orizzonti che privilegio: il cinema antropologico, di relazione; e quello sulle città, come accaduto con Appunti romani e in precedenza con il recupero dello storico documentario Rimini l’Ostenda d’Italia. Forse a ciò contribuisce anche la mia formazione d’architetto. In ogni caso il film era su Predappio, non su Mussolini”.
È proprio vera la riscoperta del documentario?
“In Italia l’interesse è fresco. E per i documentari arrivare in sala è sempre difficilissimo. In Svizzera, tanto per fare un esempio, escono 15-20 documentari l’anno nelle sale, premiati anche dal publico. C’è però una nuova generazione che percepisce il documentario non più come un orizzonte polveroso e ideologico, e neppure come produzioni obbligatorie o bassa cinematografia”.
Sono trascorsi 10 anni dalla sua inchiesta sul mondo giovanile riminese.
“Pochi giorni fa ho ricevuto una lettera di Luca, il protagonista: si è sposato con una ragazza americana e fa il pompiere a Dallas. Mi ha chiesto copia del film: vuol mostrarla alla moglie. Un remake due lustri dopo? Occorre viverci, con questa nuova gioventù. Il mio cinema di relazione è l’opposto del reportage, una domanda e via: necessito di tempo e di rapporti con la comunità che indago”.
Nel film Rimini, Lampedusa, Italia, ricorre spesso l’elemento della processione, della Madonna, della devozione popolare
“Quelle scene colpiscono perché re-innescano un irrazionale che abbiamo pensato di controllare attraverso un approccio razionale alla vita. I nostri rituali istituzionalizzati sono lo sballo il sabato sera in discoteca, lo stadio la domenica pomeriggio, tra l’altro ben legati al business. Qui c’è un rituale che non attiene al controllo razionale. E tutte le volte che vedo queste scene, mi emoziono”.
Tommaso Cevoli