Il film prodotto di recente da Netflix ha dato nuovo lustro all’incredibile storia dell’Isola delle Rose. L’incredibile vicenda della ‘libera’ piattaforma galleggiante a poche miglia dalla battigia di Rimini risale al 1968, ma è finita nel dimenticatoio per quarant’anni prima di essere riportata in superficie, per restare in gergo marinaresco, nel 2010 dal documentario di Cinematica (realizzato da Roberto Naccari, Stefano Bisulli, Vulmaro Doronzo e Giuseppe Musilli) e dal libro Isola delle Rose. Insulo de la rozoj-la libertà fa paura del giornalista riminese Giuseppe Musilli.
Lo stesso Musilli presenterà il suo volume domenica 13 febbraio alle 17 all’Hotel Villa Adriatica di Rimini (viale Vespucci, 3) nell’ambito della rassegna “A spasso con i libri”, promossa da Lions Club Rimini Host e Associazione Itaca e condotta da Carla Amadori.
A “innescare” il ricordo della piattaforma di ferro costruita al largo della costa riminese, appena fuori le acque territoriali, e proclamata nazione indipendente, fu una fotografia.
“Tredici anni fa con Cinematica, su commissione della Provincia di Rimini, stavamo lavorando ad un progetto che riguardava i pionieri del turismo di massa – ricorda Musilli -. Per recuperare un po’ di immagini d’epoca visionavamo il materiale degli ‘scattini’, i fotografi di spiaggia. Tra le vecchie foto ne abbiamo trovata una che ritraeva questa piattaforma, che ci incuriosì. Chiedemmo al fotografo cosa fosse e lui ci rispose: questa è l’isola di ferro, l’isola del casinò, quell’estate andavano tutti lì con le barche. Ma non seppe dirci altro. La storia non era conosciuta, e questa è una cosa stranissima. Chiesi qualche informazione ad Andrea Rossini, collega del Corriere Romagna, che mi disse che il proprietario della piattaforma si chiamava Giorgio Rosa ed era di Bologna. Cercai il suo numero sull’elenco telefonico e lo chiamai a casa. Mi rispose il figlio Lorenzo, che mi disse che suo padre non parlava con nessuno della piattaforma da quarant’anni perché era una storia che aveva creato profonde ferite. Dopo un’ora però mi richiamò e mi fece andare a Bologna perché il padre aveva accettato di parlarne con me. Scoprimmo così una storia bizzarra, pazzesca, fuori dall’ordinario, e decidemmo di raccontarla in un film documentario. Io ero il giornalista del gruppo, così mi occupai di tutte le ricerche: riuscimmo a trovare tutti i protagonisti della vicenda, adesso purtroppo sono tutti scomparsi. Per raccogliere le loro testimonianze girammo mezza Italia, compresa una trasferta a Monaco di Baviera, dall’ambasciatore in Germania dell’Isola delle Rose. In Puglia andammo a trovare uno dei guastatori che partecipò alla distruzione dell’Isola delle Rose, e a Roma incontrammo il colonnello, ora in pensione, che aveva comandato la spedizione per demolire il manufatto. Uno dei sommozzatori aveva girato anche alcuni filmati, cosa rarissima negli anni Settanta. Nel documentario riuscimmo così a inserire anche il video dell’esplosione. Anche la Regione finanziò il progetto. Tutto è nato come documentario, del quale io scrissi i testi, letti da una voce femminile fuori campo. Il lavoro di documentazione fu enorme e molto complicato perché non c’erano archivi ufficiali. Andai alla Biblioteca Gambalunga per vedere come avevano trattato la questione i giornali dell’epoca, non solo locali ma anche nazionali e stranieri, e lì ebbi un altro colpo di fortuna perché una delle bibliotecarie si ricordò di una scatola sulla quale era scritto “Isola di ferro”. Al suo interno c’erano molte foto, soprattutto del fotografo Minghini, e persino qualche video, che ritraevano la piattaforma.
Adesso la Gambalunga ha una sezione specifica sull’Isola delle Rose”.
La prima del documentario fu agli Agostiniani. “Ricordo tanta gente in piedi e decine e decine di persone che non riuscirono ad entrare. Lo stesso ingegner Rosa la sera della prima scoprì tutta una serie di particolari relativi agli altri protagonisti della vicenda che non conosceva. Il documentario girò il mondo, partecipando a rassegne di grande prestigio. La storia diventò anche il manifesto degli esperantisti di tutto il mondo perché l’Isola delle Rose è stata l’unica repubblica (pur non riconosciuta) ad adottare l’esperanto come lingua ufficiale. Decidemmo così di doppiare il documentario anche in esperanto. Tra me e l’ingegner Rosa si è creato un legame affettivo perché – mi raccontò una volta il figlio Lorenzo – mi ha sempre considerato una persona di cui fidarsi, che non ha mai speculato o ridicolizzato questa storia.
Ogni volta che qualcuno chiedeva dell’Isola veniva ‘dirottato’ a me: è successo a Walter Veltroni quando decise di scrivere il romanzo L’Isola delle rose (che uscì nel 2012, ndr), è accaduto con qualche opera teatrale ed è successo con Netflix. Quando iniziarono la preparazione del film l’aiuto sceneggiatrice venne a Rimini e fece insieme a me i primi sopralluoghi e la raccolta del materiale video. Il documentario di Cinematica ed il mio libro, scritto per accompagnare la pellicola su proposta di Massimo Roccaforte, hanno portato a conoscenza di una grossa fetta di pubblico la storia dell’Isola. Tutto era nato da quella fotografia dello scattino vista per caso, altrimenti questa storia sarebbe rimasta sepolta”.
In cosa si differenzia questa nuova edizione del libro dalla prima?
“Dopo la prima edizione ne uscì una seconda e qualche mese fa abbiamo inserito altro materiale: rispetto alle 90 pagine iniziali adesso sono 200, con un centinaio di fotografie e anche un nuovo capitolo che racconta tutte le vicende accadute dal primo documentario al film di Netflix. Questa terza edizione, distribuita in tutta Italia, sta andando molto bene e presto verrà ristampata”.
Come mai una storia affascinante come questa è rimasta nascosta così a lungo?
“Una spiegazione me la sono data parlando in Capitaneria di Porto con l’allora comandante che si era occupato della vicenda. Mi raccontò che all’epoca, avendo a disposizione una sola imbarcazione, nessuno della Capitaneria andava a vedere cosa succedeva a 11 km dalla costa, fuori dalle acque territoriali. Quindi nessuno si rese conto dell’esistenza dell’isola finché non fu visibile dalla spiaggia. Ci furono pressioni solo dopo il 1 maggio ‘68, quando fu proclamata repubblica indipendente. Quindi poiché di fatto non era ancora attiva come attrazione turistica e l’ingegner Rosa non ne voleva parlare con nessuno il ricordo era rimasto sepolto insieme ai resti dell’isola affondata”.
Una storia del genere sarebbe potuta accadere solo in un anno particolare come il 1968?
“Questa è la prima domanda che feci all’ingegnere. Mi disse: ‘ho sentito anch’io che c’erano stati questi giovani che manifestavano, ma io non mi sono mai occupato di politica, non ne sapevo nulla’. La ricostruzione di Netflix è molto simpatica, ma irreale. L’ingegner Rosa nel ‘68 aveva 43 anni, negli anni Sessanta un ingegnere e docente a quell’età era una persona ‘anziana’. Quella ricostruzione è romanzata, molto accattivante, com’è giusto che sia un film che non ha ambizioni storiografiche, ma divaga completamente rispetto allo spirito dei protagonisti. L’ingegner Rosa non era l’uomo delle feste, delle tavolate con gli amici, e non era un sessantottino. Era un ingegnere che voleva costruire quella piattaforma e che era innamorato della libertà. Era un imprenditore, cosa che poi ha fatto nella sua vita. Quella che voleva realizzare era un’impresa turistica. Aveva scelto Rimini già da qualche anno perché stavano costruendo l’autostrada (il casello riminese fu inaugurato nel ‘64). Mi disse: ‘volevo creare un manufatto turistico e visti i lacci e lacciuoli della burocrazia italiana ho deciso di portarlo in acque internazionali perché lì nessuno mi avrebbe potuto chiedere nulla. Non mi ero improvvisato, avevo chiesto al professor Sereni, che mi aveva assicurato che avrei potuto farlo. Due anni dopo mi arrivò anche il conto della demolizione da pagare: 18 milioni di lire’. All’epoca a Bologna con quella cifra ci compravi almeno un appartamento”.
Limite di 30 presenze per l’incontro con Green Pass rafforzato e mascherina FFP2. Ingresso gratuito su prenotazione a segretario@lionsrimini.it. Aperitivo conclusivo, su prenotazione, al costo di 10 euro.
La presentazione sarà trasmessa in diretta sulla pagina Facebook Lions Club Rimini Host.