Un puzzle in cui ogni tessera ha la sua collocazione: infanzia, giovinezza, età adulta, vecchiaia.
Ma oggi quel puzzle sembra impazzito e i conti non tornano più. Colpa della longevità di massa, ma essere longevi oggi non significa avere ‘più vita’ bensì avere ‘più vite’, abitare un laboratorio in cui si è sempre giovani ricomincianti, dilettanti senza scadenza destinati a non diventare adulti e a non invecchiare, ma questo toglie alla morte il valore di questione ultima e impedisce di assumersi la responsabilità connessa all’età adulta. Il fatto che troppi adulti non facciano gli adulti sta riscrivendo il paradigma dell’umano e costituisce un serio problema per le dinamiche culturali, sociali e politiche, e anche per la trasmissione della fede.
In una società che invecchia a colpo d’occhio ma nella quale tutti sembrano voler restare perennemente giovani il vero buco nero è proprio la morte dell’adulto, l’irresponsabile investimento di molti over 40 in un perenne giovanilismo costantemente alimentato (e insoddisfatto) dalle logiche del mercato e della cultura mediatica. Non si vuole pensare alla vecchiaia come tempo di maturità. Oggi si parla di tutto senza pudore, anche delle nostre relazioni e abitudini sessuali; l’unica domanda tabù che ancora mette in imbarazzo, è ‘quanti anni hai?’.
E questo nostro tempo innamorato della giovinezza non ama i giovani. Li invidia, non lascia loro spazio e li mantiene ‘congelati’ in una sorta di perenne stand-by.
Volontariamente per non farsi usurpare posizioni acquisite; involontariamente perché, venuta meno l’asimmetria necessaria al gesto educativo, questi stagionati Peter Pan sono più preoccupati di volere bene ai figli che di volere il loro bene, non chiedono loro di crescere, ma ne spianano costantemente la strada azzerandone così capacità di sacrificio e di autonomia. Oggi i bambini sono iperprotetti da genitori ‘spazzaneve’ e/o ‘amuchina’, compiaciuti in ogni esigenza, iperstimolati, ma con il rischio concreto di essere, di fatto, paradossalmente abbandonati a se stessi.
Senza adulti, insomma, non ci sono genitori, e senza genitori i figli non diventeranno mai adulti.
La politica, l’economia, i poteri forti avallano il mito del giovanilismo perché hanno bisogno di imbecilli e non esiste nessuno più imbecille di chi, superati i 40 – 50 anni, pensa di essere ancora giovane e fa di tutto per mantenersi in questa condizione. Si pecca contro la vita. E pure contro l’intelligenza, E voi lettori, che ne dite?
di Armando Matteo