Giovedì 3 dicembre. Ore 21. Rimini Fiera. Ingresso Est. Padiglione D7.
Sono le coordinate che indicano tempo e luogo in cui è avvenuta, anche nella nostra città, la presentazione de La bellezza disarmata, il libro scritto da don Julian Carron, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. In dialogo con don Carron Fausto Bertinotti, Presidente della fondazione “Cercare ancora”.
Dopo la lettura di un articolato messaggio del Vescovo, il prof. Andrea Simoncini, docente di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, ha aperto il confronto attraverso alcune domande, la prima delle quali è rivolta a Fausto Bertinotti: “Qual è l’impressione avuta leggendo il libro e la proposta che esso contiene?
La risposta è ampia, vissuta. Parte da tre parole chiave, imprevisto – evento – incontro, definite “pane quotidiano” per l’hic et nunc che stiamo vivendo. L’imprevisto e l’evento rendono possibile l’incontro e sono indispensabili per dare senso all’esistenza, soprattutto nei momenti in cui si vive una crisi di civiltà quale noi stiamo vivendo. Senza l’imprevisto, continua Bertinotti, l’uomo è condannato a respirare “l’aria del tempo” per dirla con Camus: “L’imprevisto è ciò che determina la scoperta dell’altro come parte necessaria alla tua costruzione. Nella mia cultura sono i momenti che richiedono la rivoluzione culturale dello sguardo in cui, attraverso l’evento, ciò che fino a un attimo prima era invisibile diventa visibile, esistente; prima non lo vedevi, era come se non ci fosse”. Cita Zaccheo, che diventa visibile solo perché Gesù lo guarda, e Gramsci che mette in guardia politici e intellettuali dall’accumulazione della scienza e del sapere a prescindere dalla connessione sentimentale con il popolo.
Bertinotti propone, a questo punto, ancora tre parole chiave: “Crisi, fede e inizio, a me non credente, ma appartenente a questa umanità, parlano in termini diretti, perché siamo sulle soglie di una possibile catastrofe. Un termine che va maneggiato con cura, che non può essere brandito come una clava, ma, credo, debba essere messo di fronte ai nostri occhi; il rischio della catastrofe, il rischio che la salvezza non sia più alla nostra portata … “a meno che”. Senza questo “a meno che” siamo spacciati, in esso c’è la possibilità di un destino comune contro la catastrofe”.
Il discorso procede concretizzando la formula “a meno che” con l’evento del Giubileo della Misericordia che – dice Bertinotti – papa Francesco propone quando il terrorismo non si è ancora manifestato in termini così violenti, ma quando esso esplode a Parigi ed entra in scena, quell’intuizione si rivela l’unica proposta di senso con cui rispondere a tanta ferocia “laddove la politica mostra tutta la sua ignoranza colpevole”.
Dice ancora: “Questo titolo Bellezza disarmata, l’ho associato alla misericordia. La bellezza disarmata di cui parla Carron a me suona come consanguinea alla misericordia di cui parla papa Francesco”.
Altro tema che Bertinotti estrapola dal testo è la perdita dell’evidenza della realtà: l’Illuminismo si è impossessato di tutti i valori cristiani rinnegandone l’origine evidente, cioè eliminando Dio dalla realtà. “La storia da cui provengo, il movimento operaio, recupera il testimone di due grandi padri, il cristianesimo e l’illuminismo; nella sua ambizione smisurata, pensa di essere l’erede di entrambi”, ma, conclude, la lotta di liberazione prendendo il potere e facendosi Stato, così perde la propria identità e distrugge la coscienza del popolo. Anche il cattolicesimo, termina Bertinotti, “per distribuire le colpe”, è corresponsabile alla perdita dell’evidenza.
Carron, interviene proprio a proposito della corresponsabilità nel crollo delle evidenze. Cita un intervento del cardinal Ratzinger a Subiaco: “<+cors>Nell’epoca dell’Illuminismo, nella contrapposizione delle confessioni e nella crisi incombente dell’immagine di Dio, si tentò di tenere i valori essenziali della morale fuori dalle contraddizioni”. Questo è l’ultimo tentativo di salvare i valori, quando le guerre di religione e la Riforma avevano già “fatto a pezzi” il cristianesimo.
Torna a questo punto la possibilità dell’imprevisto e di Zaccheo, che non era stato mai scalfito dalle prediche moralistiche dei farisei: “La misericordia di Gesù, invece, che a tanti sembra troppo debole per cambiare qualcuno, lo sfida come nessuno lo aveva sfidato mai e tira fuori un io che lo mette in moto per cambiare se stesso”. La sua dignità invisibile rinasce nell’incontro con una persona. Nella storia è successo il contrario: tutto è diventato di nuovo invisibile, si è persa l’evidenza di ciò che l’uomo è. Ma davanti a questo crollo delle evidenze, continua Carron, a questa crisi di civiltà, resiste la speranza che ciò che si è perduto possa essere recuperato. È la sfida più grande di questo tempo. Ci sono dei fatti, piccoli inizi, piccoli miracoli: “Tante volte pensiamo che sia troppo poco; si pensava che anche quello che faceva Gesù fosse troppo poco, andando a casa di Zaccheo. Si pensava che fosse una bellezza troppo disarmata per poter vincere, invece ha cambiato la storia. Noi crediamo che questa bellezza abbia ancora sufficiente potenza”.
La tesi del libro – interviene Simoncini – è molto chiara: occorre un nuovo inizio e questo nuovo inizio non è: “Che cosa devo fare?”, ma: “Io chi sono?”. Nella situazione che viviamo, non è ingenua questa posizione?
Bertinotti risponde riprendendo il concetto di imprevisto con l’esempio del Non èxpedit di Pio IX, quando, nell’esplicito esonero politico dei cattolici, fiorirono opere di carità e solidarietà visibili ancora oggi: cooperative, associazioni, mense, opere di mutuo soccorso in un impegno attivo al di fuori delle coordinate del nuovo Regno d’Italia. Poi, riprendendo la provocazione sull’io, cita il dialogo fra Papa Francesco e Scalfari: un non credente risponde alla propria coscienza e la coscienza non è fare quello che si vuole, ma è un processo di costruzione. Conclude con una provocazione: “Questo io non sta in piedi senza un contestuale noi, senza una costruzione di comunità. L’io e il noi solo stando insieme possono costituire la risposta alla desertificazione che il mondo in cui viviamo ci sta promettendo”.
Carron riprende la parola: la tentazione di cavarsela senza l’imprevisto, senza l’evento, senza l’incontro, è di tutti, anche dei credenti; è una tentazione vivere la riduzione etica del cristianesimo: “Per questo don Giussani ci ha ripetuto, fino a stancarsi, quella famosa frase di Montale, un imprevisto è la sola speranza, per sottolineare la natura del cristianesimo come un evento che riaccade in continuazione”. E il “noi” è parte essenziale di tutto questo: senza la partecipazione a un noi, che sia in grado di rigenerare costantemente l’io, non c’è la possibilità del cambiamento. Il noi fa nascere una mentalità nuova, che libera l’uomo dall’ individualismo. Questa proposta si declina allo stesso modo per credenti e non: ci si accorge che senza il rapporto con alcune persone viene meno qualcosa per sé. “È ciò che ha dato origine all’incontro di questa sera ed è un inizio piccolissimo, minuscolo, come un seme”. Davanti alle emergenze cresce la disponibilità ad ascoltarsi; per questo, conclude Carron, il nostro tempo così tormentato è una bella possibilità di incontro, siamo più consapevoli del bisogno che abbiamo. “Tutti siamo davanti alle stesse sfide, tutti siamo interessati a capire che cosa ha portato a questa situazione e che cosa può aiutarci a uscirne”.
Questo è già, veramente, un nuovo inizio.
Rosanna Menghi