Al Bolzano Festival duplice concerto della Gustav Mahler Jugendorchester diretta dal finlandese Esa-Pekka Saraste
BOLZANO, 22 e 23 agosto 2022 – Sono tutti giovanissimi e rappresentano le eccellenze musicali d’Europa per ogni strumento. Sorpresa: in prevalenza sono ragazze. Hanno un’età che va dai diciannove ai ventinove anni, ma già una lunga esperienza di studio alle spalle, e provengono da ogni paese: dal Portogallo al Regno Unito, dalla Spagna alla Germania, passando per Francia e Svizzera, fino all’area scandinava e a quello che un tempo veniva definito il blocco socialista. Numerosi, poi, quelli che arrivano dall’Italia, compreso il primo violino Giuseppe Mengoli. Spesso hanno compiuto gli studi musicali nei paesi d’origine, anche se per migliorare la propria formazione molti si sono trasferiti verso i centri più prestigiosi d’Europa, innescando una virtuosa osmosi geografica e culturale.
Questo è il vissuto degli strumentisti che fanno parte della Gustav Mahler Jugendorchester (GMJO): l’ensemble giovanile che, forse, oggi gode del maggior riconoscimento internazionale. I componenti, una volta selezionati, vengono presi amorevolmente sotto l’ala di tutores che, oltre a essere ottimi musicisti, suonano nelle migliori orchestre del mondo. Oltrepassato il limite di età, dovranno però abbandonare questa straordinaria esperienza, che resta temporanea, per lasciare il posto a colleghi più giovani: allora – c’è da scommetterlo – molti di loro diventeranno membri effettivi delle più blasonate orchestre.
Tradizionalmente, uno dei punti di forza nel cartellone del Bolzano Festival è sempre stata la presenza degli insiemi giovanili. Consuetudine rispettata anche quest’anno, ospitando prima la European Union Youth Orchestra, che esiste dal 1976, e adesso la Mahler, nata dieci anni dopo (in entrambi i casi il fondatore è stato Claudio Abbado). I due appuntamenti con la GMJO prevedevano la bacchetta di una gloria del podio come Herbert Blomstedt, ma l’anziano direttore, seppure a malincuore, ha dovuto rinunciare al suo incarico per i postumi di una brutta caduta. Così è stato sostituito all’ultimo momento dal finlandese Esa-Pekka Saraste, che si esibisce rarissime volte in Italia, mentre ha una lunga consuetudine alla guida delle migliori orchestre internazionali.
Il programma, già impaginato da tempo, non ha così subito variazioni, con gli stessi tre brani previsti in origine, che segnano la fine di altrettanti periodi musicali. Il primo concerto, lunedì 22, era dedicato alla monumentale Settima sinfonia di Bruckner: estremo omaggio a Wagner da parte di un devoto ammiratore, alla vigilia della scomparsa del grande musicista. Questa partitura, terminata nel 1883 e che forse rappresenta il capolavoro di Bruckner, dopo un avvio difficile raggiunse fama planetaria, anche se per il pubblico italiano la sua popolarità resta indissolubilmente legata al film Senso di Visconti. Nella lettura di Saraste emergevano la minuziosa attenzione alle sfumature dinamiche e, soprattutto, una grande cura del suono: stupenda la trenodia intonata dalle tube wagneriane che conclude l’‘adagio’, grazie anche ai bravissimi ottoni della Mahler. E, nell’intento di valorizzare ogni sezione orchestrale, Saraste ha giustamente autorizzato il colpo di piatti e triangolo (spesso eliminato da molti direttori) che prelude alla ‘coda’ in memoria di Wagner.
La seconda serata si è aperta con la Terza sinfonia scritta da uno Schubert appena diciottenne nel 1815, che chiude la fase più segnatamente classicista del compositore viennese. Saraste ne ha sottolineato l’estrema cantabilità e leggerezza, mettendo in luce tutta l’italianità – il pensiero corre subito a Rossini – di una musica che, pur ancorata ai modelli formali di Haydn e Mozart, sgorga sempre con stupefacente naturalezza.
Di nuovo il pieno organico orchestrale per l’altro brano in programma, la Seconda sinfonia del finlandese Sibelius, estrema propaggine di quel tardo romanticismo che a inizio novecento – è del 1902 – forse non aveva più ragione di esistere. Proprio con queste pagine di grande complessità, pervase da un descrittivismo quasi pittorico e dove la struttura sembra disgregarsi continuamente per lasciar posto a nuove forme, Saraste ha dimostrato come il compositore finlandese faccia parte del suo lessico familiare, dirigendo interamente a memoria. I ragazzi della Mahler l’hanno assecondato con travolgente entusiasmo. Si poteva persino ammirare il movimento delle varie sezioni degli archi, come fosse il passaggio di un’onda che si propaga dal podio fino alle estremità del palco del Teatro Comunale bolzanino.
Persino inutile sottolinearlo: l’entusiasmo ha contagiato l’intero pubblico.
Giulia Vannoni