La Lumen Gentium – che si potrebbe qualificare come la magna charta dell’ecclesiologia conciliare – costituisce il punto di arrivo di un lungo processo di maturazione, durato tutto il tempo del Concilio. Come per molti altri documenti, l’iter della costituzione fu travagliato e gli otto capitoli in cui si articola la redazione definitiva sono il frutto di molte rielaborazioni – quattro, per l’esattezza – che alla fine dovettero soddisfare i padri conciliari, se i placet furono 2151 contro 5 non placet, praticamente un voto all’unanimità. Lo schema definitivo è articolato in otto capitoli. A ben vedere, lo schema si riduceva a un ampio capitolo introduttivo, per concentrarsi poi sui soggetti nella Chiesa: la gerarchia, i laici, i religiosi. Il dibattito sul testo impegnò ventidue congregazioni generali, dal 30 settembre al 14 ottobre 1963, e il testo passò per due redazioni che produssero la struttura attuale della costituzione Lumen Gentium, in otto capitoli.
1.Come si arrivò a questa articolazione?
Certamente, il dibattito non poteva prescindere dalla domanda, pronunciata da Paolo VI nel discorso di apertura della seconda sessione: «Chiesa, cosa dici di te stessa?».
«Se noi, venerabili fratelli, poniamo davanti al nostro spirito questa sovrana concezione: essere Cristo nostro Fondatore, nostro Capo invisibile ma reale, e noi tutto riceviamo da lui così da formare con lui quel Christus totus di cui parla sant’Agostino e la teologia della Chiesa è tutta pervasa, possiamo meglio comprendere gli scopi di questo concilio, che per ragione di brevità e di migliore intelligenza noi indicheremo in quattro punti: la conoscenza o, se così piace dire, la coscienza della Chiesa, la sua riforma, la ricomposizione di tutti i cristiani nell’unità, il colloquio della Chiesa con il mondo contemporaneo».
Questa prospettiva ha orientato i lavori conciliari, portando alla redazione definitiva della Lumen Gentium. Ma la composizione del documento si è giocata in un lungo processo che ha conosciuto momenti delicati e difficili.
2. Il dibattito in aula
La vicenda che ha portato alla redazione del capitoli II, V e VII è assai istruttiva e vale la pena seguirla passo passo, per vedere come la genesi laboriosa della costituzione abbia portato alla maturazione di una prospettiva ecclesiologica condivisa.
Anzitutto, il capitolo II. A ben vedere, più che nei contenuti, gran parte dei quali ripresi dallo schema de Ecclesia – in particolare il richiamo al sacerdozio comune e al sensus fidelium –, la novità del capitolo sta nella collocazione che viene ad occupare nella redazione finale della costituzione. Quando, infatti, i Padri conciliari stavano discutendo il tema dei laici, il card. Suenens propose lo sdoppiamento del capitolo, con la motivazione che molti dei contenuti riguardavano tutti i battezzati e non i soli laici, e l’inserimento di un capitolo relativo al Popolo di Dio prima degli stati di vita nella Chiesa. I nove numeri che compongono il capitolo affermano la radicale uguaglianza di tutti i membri della Chiesa in forza del battesimo, recuperando nella teologia cattolica il tema del sacerdozio comune dei fedeli, e quindi la loro capacità «attiva» nella Chiesa, circoscritta per tutto il secondo millennio ai soli chierici (nn. 9-12), e, nella seconda parte del capitolo, afferma la destinazione alla salvezza degli uomini, i quali, a diverso titolo e in diversi gradi, sono tutti «chiamati a formare il nuovo popolo di Dio» (nn. 13-17). Fu soprattutto questa scelta a segnare la fine dell’ecclesiologia piramidale: la creazione di un capitolo che trattasse ciò che è comune a tutti i membri della Chiesa prima di ciò che li distingue – le funzioni, i ministeri, gli stati di vita – ha prodotto, in forza di questo solo fatto, un terremoto nella impostazione dell’ecclesiologia. In questo modo è la condizione di figli di Dio a costituire il più alto titolo di dignità nella Chiesa, e questa è per tutti uguale, «dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici», come recita LG 12. Per quanto necessario, il ministero nella Chiesa è relativo al Popolo di Dio, al suo servizio, perché appunto questo popolo possa offrire a Dio «sacrifici spirituali a Dio graditi» (LG 10). Non a torto, G. Philips ha parlato di «rivoluzione copernicana» nell’ecclesiologia.
Il capitolo VII, invece, nasce dalla ripresa di un breve testo voluto da Giovanni XXIII sulla devozione ai santi. Le difficoltà di inserimento del testo nella costituzione trovarono soluzione nella distinzione tra Chiesa e Regno di Dio, che inquadrava la dottrina tradizionale della comunione dei santi nella prospettiva escatologica della Chiesa in cammino verso il compimento del Regno.
3. La struttura della costituzione
L’esito del tutto è sorprendente: la Lumen Gentium appare un testo articolato e coerente insieme, frutto di mediazioni che a qualcuno sono parse dei compromessi, ma che rappresentano il giusto equilibrio delle istanze presenti al concilio. Il quadro ecclesiologico che ne risulta è ben definito, e propone un profilo di Chiesa che, senza negare le affermazioni precedenti circa la costituzione gerarchica della Chiesa, le inquadra in una prospettiva più ampia, che è quella della radicale uguaglianza di tutti i membri del Popolo di Dio in forza della rigenerazione in Cristo e le ricomprende alla luce di una concezione misterica della Chiesa.
La novità della costituzione si può cogliere tanto dal punto di vista dei contenuti che della loro articolazione. E se i contenuti sono più conosciuti, anche perché il lungo processo di recezione post-conciliare li ha messi a tema nella riflessione ecclesiologica e nella prassi ecclesiale, vale la pena di sottolineare l’articolazione organica del testo, per capire come ogni elemento, collocato in un insieme ordinato, contribuisca a delineare un volto di Chiesa non sempre rappresentato con fedeltà da interpretazioni ideologiche del periodo post-conciliare.
La struttura interna della costituzione è facilmente ravvisabile anche a una lettura immediata. Si possono individuare due grandi inclusioni, una più ampia costituita dai capitoli I-VIII: il mistero della Chiesa, illustrato nel capitolo I, trova il suo corrispondente simbolico nel capitolo sulla Vergine Maria, figura compiuta della Chiesa in cammino verso la comunione con Dio. Senza questo legame, il capitolo sulla Vergine Maria, madre della Chiesa, risulta un’appendice non felicemente collegata all’insieme del testo, incapace di dare profondità al mistero della Chiesa attraverso il rimando all’esemplarità di Maria. Per contro, il nesso tra il primo e l’ultimo capitolo, oltre a fornire una cornice a tutta la costituzione, conferisce forza anche alla prospettiva fortemente teologica del capitolo di apertura, troppo spesso trascurata dagli interpreti del concilio, quasi fosse un’ampia digressione introduttoria a un documento che entrerebbe nel vivo solo quando si parla della Chiesa come Popolo di Dio. L’unità dei due capitoli mostra anche meglio quanto sosteneva l’allora card. Ratzinger, in occasione del convegno sulla «Recezione e attualità del concilio Vaticano II alla luce del Giubileo dell’anno 2000»: «Il Vaticano II voleva chiaramente inserire e subordinare il discorso della Chiesa al discorso di Dio, voleva proporre una ecclesiologia nel senso propriamente teo-logico, ma la recezione del Concilio ha finora trascurato questa caratteristica qualificante in favore di singole affermazioni ecclesiologiche, si è gettata su singole parole di facile richiamo e così è restata indietro rispetto alle grandi prospettive dei padri conciliari». Il card. Ratzinger si riferiva certamente alle discussioni sull’alternativa tra Chiesa Corpo di Cristo e Popolo di Dio, come se le due immagini non fossero complementari e non contribuissero insieme a illuminare il mistero della Chiesa. Ma un’alternativa del genere – non ravvisabile nel testo! – introduce tra capitolo I e II una discontinuità che riconsegna la Chiesa al piano meramente storico: senza una profondità misterica, ciò che sarebbe decisivo della e nella Chiesa sarebbe il gioco del potere, lo scontro alternativo tra Popolo di Dio e gerarchia, il ribaltamento delle posizioni.
Sono le posizioni di chi, radicalizzando le tesi sulla Chiesa-Popolo di Dio, non aveva occhi per rilevare la seconda grande inclusione, costituita dai capitoli II-VII: l’indole escatologica del Popolo di Dio, tematizzata nel capitolo VII, illumina infatti la natura escatologica della Chiesa, Popolo di Dio in cammino verso il Regno, e quindi figura e anticipazione di quel Regno per tutti gli uomini. La trama della vita ecclesiale è pensata sulla tensione tra il presente della Chiesa e il futuro del Regno; tensione che si sostanzia della «universale vocazione alla santità»: nel Popolo di Dio, la santità non è riservata ad alcuni ma è dono e impegno di tutti, chiamati – in qualunque condizione o stato di vita si trovino – a configurarsi a Cristo, Signore e capo del suo corpo che è la Chiesa.
Dentro questo movimento della Chiesa in cammino verso il Regno, i capitoli sulla costituzione gerarchica della Chiesa (III), sui laici (IV) e sui religiosi (VI) offrono il quadro delle funzioni e degli stati di vita che strutturano il corpo ecclesiale.
4. Conclusione
A partire da queste grandi inclusioni si possono riprendere puntualmente i singoli temi che la costituzione sviluppa. Temi che intrecciano le prospettive più innovatrici – riprese soprattutto dall’ecclesiologia del primo millennio – con i dati della Tradizione latina del secondo millennio, composti in unità nell’ampiezza di respiro che la trattazione sulla Chiesa conosce nella costituzione. Davvero si può dire che la Lumen Gentium rappresenti la risposta matura alla domanda che Paolo VI poneva ai padri conciliari: «Chiesa. Cosa dici di te stessa?». Tornare sul testo della costituzione – e su tutti i documenti conciliari – in una lettura serena e senza preconcetti è la sfida che si offre a una generazione di credenti che vogliano costruire una testimonianza cristiana significativa per l’oggi. Perché è un’illusione pensare a una rilevanza della vita cristiana che non sia attuazione di un vissuto ecclesiale ispirato e sostenuto da una grande idea di Chiesa: idea che per oggi non può essere altra che quella disegnata dal concilio Vaticano II, in particolare dalla Lumen Gentium. (3-continua)