Home Vita della chiesa La Liturgia Eucaristica: la celebrazione della gratitudine

La Liturgia Eucaristica: la celebrazione della gratitudine

L’anello della sposa. È l’immagine che meglio definisce la Messa: alleanza, patto di sangue tra Dio e l’uomo. Un anello a tre cerchi (Introito, Offertorio e Comunione) su cui sono incastonate due pietre preziosissime, d’unico sigillo: la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica. Il “Signore dell’Anello” è Dio (Padre, Figlio e Amore) e la Sposa è il suo popolo radunato: la Chiesa.
Terminato il tempo del “fidanzamento” , in cui Dio e l’uomo si sono parlati (Liturgia della Parola), con la Liturgia Eucaristica inizia quello del “matrimonio” , in cui lo Sposo e la Sposa si siedono al banchetto e consumano la loro unione sul talamo della croce (come dicono i Padri della Chiesa), ossia sull’altare (mensa e croce), “comunicandosi” nel Corpo e nel Sangue di Cristo.

È in questo senso che la Liturgia della Parola «prepara e conduce alla Liturgia Eucaristica» (Liturgicae Instaurationes, 2b), formando con essa un tutt’uno (Sacrosactum Concilium< 56; Ordo generale Messale Romano, 28), come due gemme, appunto, d’unico sigillo. Nessuno osi quindi separare «una parte dall’altra, celebrandole in tempi e luoghi diversi» (LI, 2b). Con la Liturgia Eucaristica la Parola viva diventa Parola incarnata, perché ciò che Dio ha detto, fatto e promesso ora lo porta a compimento nel Figlio, grazie al quale l’uomo può entrare nella vita divina (battesimo) e vivere come figlio nel Figlio; in una parola, detta in “ecclesialese”: «Le meraviglie annunciate trovano il loro coronamento nel mistero pasquale» (Eucharisticum Mysterium, 10).

Che la Liturgia Eucaristica costituisce il vertice di quella della Parola è evidenziato anche dal fatto che essa dà il nome a tutta la celebrazione, chiamata anche Eucaristia, Cena del Signore, Frazione del Pane, Santo Sacrificio.

Con il suo inizio, la Messa acquista una sorta di accelerazione, che si evidenzia anche nel cambio del registro spaziale, dei libri liturgici e delle preghiere: dall’ambone, mensa della Parola, si passa all’altare, mensa del Corpo/Sangue di Cristo (v. Catechesi, 33.9: Ambone; Altare), che come primo Celebrante, invita ora la Sposa a lasciare la pianura, il lago o il monte da cui le ha finora parlato, per entrare nel Cenacolo e poi salire con Lui sul Golgota, dove porterà a compimento la sua missione (Mistero pasquale); dall’uso del Lezionario e dell’Evangeliario (v. Catechesi, 29-30.38: Lezionario; Evangeliario) si passa a quello del Messale; dalle preghiere e monizioni (Confesso, Kyrie, Gloria, Colletta, Preghiera dei fedeli: v. rispettive Catechesi), si passa ora alla Preghiera (quella Eucaristica) che non ammette monizioni, neppure da parte del celebrante (LI, 3f).

Ma quel’è il suo significato? È davvero la parte della Messa che spetta solo al prete? La Liturgia Eucaristica (dal greco eu =bene, chàris =grazia) prende il suo nome e significato da ciò che fece Gesù nell’ultima cena: prese il pane e il calice e rese grazie(eu-charistein), come riportano unanimemente i Vangeli Sinottici e san Paolo (Mt 26,27; Mc 14,23; Lc 22,19; 1Cor 11,24). Da buon ebreo, Gesù, in quella cena di pasqua, si comportò come ogni altro capofamiglia, pronunciando la berakà, ossia la benedizione, la lode e la gratitudine a Dio per i suoi benefici (gli alimenti, la creazione, l’uscita dall’Egitto, ecc.). Si deve sapere che durante questa cena (séder) gli ebrei pronunciano la benedizione ben 10 volte e ogni preghiera ebraica, come ogni azione, inizia sempre con una berakà. Quella sera Gesù ringraziò il Padre per aver compiuto finalmente la Sua opera: ha donato il Figlio per sconfiggere il peccato e la morte, dando «compimento ai sacrifici antichi» (Prefazio pasquale V). In ogni Messa, allora, noi ringraziamo il Padre facendo nostra la gratitudine di Gesù pronunciata dal sacerdote, per cui questa liturgia può essere anche chiamata la liturgia della gratitudine: «Rendiamo grazie al Signore nostro Dio» – «È veramente cosa buona e giusta, rendere grazie sempre a te, Padre…». Pertanto, sentirsi in credito per essere andati a Messa è tagliarsi fuori!

La Liturgia Eucaristica possiede inoltre altri tre significati (SC 47; Catechismo Chiesa Cattolica, 1362-1405).
1. Essa è celebrata come memoriale del sacrificio di Cristo: «Fate questo in memoria di me» (OGMR, 72). Il memoriale ebraico (zikkaron; in latino anamnesi) non è un mero ricordo, come possono essere i nostri compleanni o anniversari, ma l’attualizzazione nell’oggi di ciò che Dio ha compiuto nel passato. Nel celebrarlo, quindi, Cristo, per la potenza dello Spirito Santo, irradia nel futuro quanto fece sulla croce, in modo da renderlo contemporaneo a tutte le generazioni; in altre parole, quando siamo di fronte all’altare siamo contemporanei alla croce (come sotto di essa!). Tale sacrificio si attualizza sull’altare, però, in modo sacramentale cioè incruento: «Il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio […]: diverso è solo il modo di offrirsi» (Concilio di Trento, DS 1743; CCC 1367). C’è davvero da piegare le ginocchia!

Ma c’è di più. Questo sacrificio è anche sacrificio del Corpo di Cristo, la Chiesa, per cui anche ogni fedele offre, unito a Cristo, tutto se stesso al Padre, proprio come Maria ai piedi della croce. «Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene, [… offrano] la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi» (SC 48). E quando si dice Corpo, si dice anche tutti coloro che ci hanno preceduti, per cui nell’Eucaristia incontriamo i nostri cari defunti molto di più di quando andiamo al cimitero!

2. La Liturgia Eucaristica è anche banchetto, mensa del Signore, per cui è anche festa, allegria, convivialità. Il sacrificio è infatti finalizzato alla comunione, all’unione intima con Cristo e tra di noi.

3. Infine, essa è anche anticipazione del Cielo, di quel banchetto di nozze dell’Agnello a cui siamo indegnamente invitati nella Gerusalemme celeste (Ap 19,9). Celebrarla è quindi anche invocare la seconda venuta di Cristo: maranathà!
Concludo, lasciando la parola a una mia carissima amica: «<+cors>Se la gente conoscesse il valore dell’Eucaristia, l’accesso alle chiese dovrebbe essere regolato dalla forza pubblica<+testo_band>» (s. Teresa di Lisieux).

Elisabetta Casadei