“Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle?” era stata la domanda che papa Francesco aveva rivolto a tutto il Popolo di Dio da Lampedusa. A Redipuglia e a Fogliano, nei luoghi dove centinaia di migliaia di uomini trovarono la morte in quella che un altro pontefice definì inascoltato “l’inutile strage”, Papa Bergoglio, ha assestato una nuova picconata al muro della “globalizzazione dell’indifferenza” che avvolge il nostro tempo. Solo “la conversione del cuore” permette di superare quell’ “A me che importa?” pronunciato da Caino e poi ripetuto da milioni di esseri viventi, colpevolmente incapaci nel considerare come inevitabile una guerra che “distrugge ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano”. “L’umanità ha bisogno di piangere” ha ribadito il papa: se lo farà, riuscirà a superare il concetto di “nemico” con cui l’ideologia ha giustificato e continua a giustificare l’uccisione e l’annientamento degli esseri umani. Nell’ora del pianto non esistono più vincitori né vinti: l’essere umano scopre che chi ha di fronte è prima di tutto un fratello. Le vittime di allora non erano forse uomini e donne che lavoravano portando avanti la loro famiglia mentre i loro bambini giocavano e giovani sognavano? Venne ancora una volta la guerra e spezzò tutto questo. L’uomo è sempre la vittima della follia della guerra, qualunque sia la divisa che indossa o la fede che professa o la lingua che parla. La preghiera del Papa si è elevata per “i caduti di tutte le guerre”, sottolineando il tragico legame che unisce tutti i conflitti, qualunque sia la latitudine ed il tempo in cui avvengono. Il suo scandire per nove volte “A me che importa?” è divenuto un richiamo alla coscienza di ogni uomo: ciascuno deve sentirsi interpellato a dare il proprio contributo per arrestare “una terza guerra mondiale combattuta “a pezzi” con crimini, massacri, distruzioni…”. Un compito improbo per il singolo credente: eppure è necessario partire proprio dalla condivisione del destino di milioni di uomini e donne vittime di “interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere” dietro cui “c’è l’industria delle armi, che sembra tanto importante!”. E tutto ciò anche se le loro tragiche storie si svolgono in luoghi apparentemente lontani e non trovano più spazio sui media: violenze etniche, odio razziale, discriminazione religiosa… Essere capaci di piangere per il prossimo, facendo scendere nel profondo del cuore le immagini delle lapidi dei 100mila caduti italiani di Redipuglia ma anche dei 16mila militari austro-ungarici sepolti a Fogliano, diviene la via per spezzare la catena alimentata, oggi come ieri, dai “pianificatori del terrore, dagli organizzatori dello scontro, dagli imprenditori delle armi”.
Mauro Ungaro