L’opera di Bizet I pescatori di perle proposta a Lille in un emozionante allestimento firmato dal giovane collettivo teatrale FC Bergman
LILLE, 28 gennaio 2020 – La dimensione del ricordo è difficile da attivare e far rivivere in teatro, ma è indispensabile per un’opera come Les Pêcheurs de perles che prende le mosse da lontane reminiscenze: le premesse di tutto ciò che succede erano già state poste prima dell’inizio del racconto operistico e i protagonisti devono necessariamente rapportarsi a quelle memorie lontane.
È costruita su questa consapevolezza la messinscena del collettivo FC Bergman, compagnia teatrale formata da quattro artisti che hanno scelto il popolare titolo di Bizet per il loro debutto nel mondo dell’opera. Sono così riusciti a concepire uno spettacolo intensamente suggestivo – nato più di un anno fa ad Anversa e adesso riproposto all’Opera di Lille – che, inevitabilmente, ha reso necessari alcuni interventi drammaturgici: potrebbe essere un rischio per l’opera di Bizet, già sottoposta nella prassi esecutiva a manipolazioni del finale e, invece, tutto funziona molto bene.
Grazie a qualche lieve aggiustamento, lo spettatore riesce così a calarsi senza difficoltà nella dimensione della memoria. L’allestimento è ambientato in una casa di riposo affacciata sulla riva dell’oceano, dove fra gli anziani ospiti si ritrovano (o forse è solo una fantasia di uno dei tre?) Leïla e i due amici Nadir e Zurga, che in gioventù erano stati rivali nella conquista del suo amore. Un po’ alla volta si materializzano le emozioni dei personaggi: da un lato si percepiscono il turbamento amoroso e la tenerezza – velata di struggente malinconia – dello sguardo di anziani che ripensano alla loro gioventù, dall’altro s’intuiscono i rancori mai sopiti per le delusioni e l’amicizia tradita. Lei, l’oggetto dei loro desideri, adesso è in carrozzina e quando si muove all’interno della sua stanza, nei movimenti, mostra tutto l’impaccio tipico degli anziani: a differenza dei due uomini, però, la voce è insolitamente fresca, in contrasto con il corpo. E, in una delle scene più emozionanti dello spettacolo, Nadir le strapperà di dosso il suo involucro da vecchia, da cui emerge un fisico ancor giovane: lo stesso che si era impresso nella memoria del suo innamorato.
Il palcoscenico girevole consente continui slittamenti di ambiente, e si passa – senza soluzione di continuità – dall’ospizio ai flutti di un mare solcato da gabbiani in volo: la vista di quelle onde, che sembrano avvolgere e inghiottire i ricordi legati alla gioventù, è davvero molto potente. All’esterno, gli anziani Leïla e Nadir rivivono così, con malinconica dolcezza, le loro effusioni giovanili, affidate agli scattanti corpi dei loro alter ego adolescenti, che danzano nudi. Zurga ne è invece escluso e deve accontentarsi – lui, che non era mai stato corrisposto dalla fanciulla – di essere doppiato da un giovane, che canta però le battute di Nourabad (il sacerdote del culto di Brahma): quarto personaggio dei Pêcheurs de perles, sparito da questa rilettura drammaturgica, in quella che forse è l’unica forzatura dello spettacolo.
Un grande lavoro è stato fatto anche sulla fisicità degli interpreti, trasformati tutti in ottimi attori. Nel cast svettava il soprano Gabrielle Philiponet, una Leïla a suo agio nella dimensione vocale più lirica del personaggio e bravissima nel raffigurare in scena una fragile anziana. Decisamente meno giovani i due uomini: il tenore Marc Laho è stato un Nadir ancora sicuro in acuto e con un’apprezzabile capacità di legare i suoni; il baritono Stefano Antonucci, di non grande volume sonoro, grazie a un’efficace gestione del fraseggio, è riuscito a disegnare uno Zurga un po’ stizzoso e incline a sfumature di rancore. Nel ruolo che avrebbe dovuto essere di Nourabad, completava il cast un corretto Rafał Pawnuk, basso-baritono.
Molto importante l’intervento del Coro dell’Opera di Lille (preparato da Yves Parmentier), coinvolto attivamente nell’interpretazione di ospiti e addetti al funzionamento dell’ospizio. Sul podio, Guillaume Tourniaire ha diretto con mano sicura l’Orchestre de Picardie e a lui va il merito di aver ottenuto sonorità sempre molto dense e compatte, immuni da quelle indulgenze estetizzanti che talvolta si associano a quest’opera. Da ricordare, infine, i due giovani danzatori Félicité Guillo e Yohann Baran: davvero molto bravi nell’affermare la loro giovanile vitalità in un ambiente popolato di vecchi.
Giulia Vannoni