Ypres (Belgio), Natale 1914: una guerra di logoramento stava sfinendo britannici e tedeschi, appostati su fronti vicinissimi; in trincee profonde 2 metri, i giovani artiglieri trascorrevano notti e giorni tra fango e corpi in decomposizione. A separarli la “no men’s Lend”, la Terra di nessuno, su cui giacevano i cadaveri dei compagni. Alla sera della Viglia sul fronte tedesco apparvero improvvisamente delle candele e un soldato prese ad intonare Stille Naght: «Quando addobbammo gli alberi e accendemmo le candele – testimonia Kurt Zehmisc – dall’altra parte giunsero fischi di gioia e applausi […]. Poi cantammo tutti quanti assieme» (S. WEINTRAUB, Silent night, 1984). In quella Notte i cannoni tacquero. All’alba i tedeschi esposero cartelli con scritto «Buon Natale. Non sparate, noi non spariamo». I più coraggiosi, allora, uscirono dalle trincee disarmati, seguiti piano piano dai commilitoni. Iniziarono insieme a seppellire i compagni e ancora insieme fecero Eucaristia. Si scambiarono poi piccoli doni: sigarette, grappa, dolci.
Come è potuto accadere? Perché c’era qualcosa che li univa più della fedeltà alla patria, più dell’odio al nemico e che li faceva sentire fratelli: per questo condivisero anche i loro beni più cari. L’episodio, non isolato, passò alla storia come la “Tregua di Natale 1914”.
È ciò che accade (o dovrebbe accadere!) alla Messa, nella Frazione del pane, quando il sacerdote spezza l’ostia consacrata per significare «che i molti fedeli, nella Comunione dall’unico pane<+cors> di vita, che è il Cristo morto e risorto, costituiscono un solo corpo» (OGMR 83), come insegna a chiare lettere San Paolo: «Il pane che spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1Cor 10,16).
Lungi quindi dall’avere solo una funzione pratica (PNMR, 56c), la Fractio panis è piuttosto il segno dell’unità di tutti in un unico pane e il segno della carità per il fatto che è distribuito tra i fratelli (OGMR 321). In altre parole, è il gesto che “fa vedere” ciò che siamo, quasi fosse lo “specchio” della Chiesa invisibile, fatta non di individui giustapposti, ma di membri di un Corpo, uniti a Cristo e tra loro. È la “fotografia” di un legame, di un vincolo che non si spezza neppure con la morte, perché se Cristo è risorto, anche noi risorgeremo (1Cor 15,20-23). Per questo, deve essere compiuto con il più grande rispetto (per esempio non durante il Rito della pace) e «in modo veramente espressivo e visibile a tutti» (OGMR 83; PNMR, Precisazioni Cei,7).
Esso trova la sua radice nello stesso gesto di Gesù (prese il pane, lo spezzò e lo diede), riportato in tutti e 4 i racconti dell’istituzione dell’Eucaristia (Mt 24,19; Mc 14,22; Lc 22,19; 1Cor 11,24). Gli apostoli e i primi cristiani intuirono immediatamente la sua importanza (i discepoli di Emmaus riconobbero il Risorto proprio nello spezzare il pane, Lc 24,30.35), tanto da dare il nome a tutta l’azione Eucaristica, come ci testimoniano le Scritture (At 2,42.46; 20,7.11; 27,35), gli scritti cristiani più antichi (Didaché, 14,1; Ignazio d’Antiochia, Agli Efesini, 20,2) e le prime raffigurazioni (es. Catacombe Santa Priscilla, II-III sec.). I primi cristiani, infatti, non dicevano “vado a Messa”, ma “vado alla Frazione del pane”.
Presente in tutte le liturgie e compiuto solo dal sacerdote o dal diacono (OGMR, 83), la Fractio panis, insieme alla Comunione, costituisce il nucleo centrale dei Riti di Comunione (OGMR, 72.80).
Un gesto che Gesù certamente non inventò, ma portò piuttosto a compimento il suo significato biblico e antropologico, tipico dei paesi medio-orientali, dove il pane non veniva tagliato, ma spezzato con le mani all’inizio del pasto comune. Così, durante la cena pasquale ebraica, il capofamiglia spezza il pane mentre recita la benedizione, per dire che i commensali, mangiandolo, diventano una sola famiglia: il popolo di Dio! Ed era proprio questo che colpiva i primi cristiani quando partecipavano alla Frazione del pane!
L’introduzione della ostie piccole (IX sec.) ha reso purtroppo superfluo questo gesto centrale dell’Eucaristia, relegandolo a “segno del segno”. Le due indicazioni, che le ostie piccole siano usate solo «quando il numero dei comunicandi o altre ragioni pastorali lo esigano» e che le parti dell’ostia grande “del sacerdote”(!) siano distribuite «almeno ad alcuni fedeli» (OGMR 321), non aiuta certo a restituirgli il suo significato.
La distribuzione delle ostie già consacrate in altre Eucaristie (cioè prese dal tabernacolo anziché dall’altare) è stato il secondo colpo di grazia al gesto di Gesù (XIII sec.), nonostante le ripetute esortazioni dei Papi (Benedetto XIV, Pio XII), del Concilio («Si raccomanda molto quella partecipazione più perfetta alla messa, nella quale i fedeli, dopo la comunione del sacerdote, ricevono il corpo del Signore con i pani consacrati in questo sacrificio», Sacrosanctum Concilium, 55) e del Messale: «Si desidera vivamente che i fedeli, come anche il sacerdote è tenuto a fare, ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa Messa» (OGMR 85).
Concludo con una proposta-provocazione: dopo cent’anni si potrebbe chiedere un’altra Tregua? La “Tregua dell’oblio della Fractio panis” o la “Tregua delle ostie piccole”! Nella Chiesa ne varrebbe il Nobel per la Pace.
Elisabetta Casadei