Siamo tutti cercatori di felicità, mai appagati e sempre inquieti, a meno che… non scopriamo finalmente il “tesoro”.
E il tesoro vero, che non subisce impennate di spread né inflazioni di sorta, ha un solo nome: Dio. Noi veniamo al mondo con una ferita nell’anima, che ci brucerà dentro per tutta la vita. È la nostalgia lancinante di potere un bel giorno vedere il volto di Dio: “L’anima mia ha sete del Dio vivente: quando vedrò il suo volto?”. Oggi i Magi ci fanno da guide esperte e da autentici maestri nell’arte di cercare la verità, di scoprire il segreto della felicità, di riorientare il corso del nostro arduo, ma esaltante cammino.
1. Il rischio di cercare
I Magi non sono degli “arrivati”. La loro vicenda è tutta una storia di ricerche e di scoperte, di sogni e di struggenti rimpianti, di gioie smarrite e infine ritrovate. È una storia che si riassume tutta nella metafora del viaggio.
Questi Magi hanno cercato Dio nel grande libro del creato, dove si “squaderna” la sapienza, la bellezza, l’Onnipotenza del Creatore. Hanno scrutato il cielo con accanimento implacabile fino a quando non hanno captato il palpito di una nuova stella, una scoperta da essi intesa non come dovuta alla loro pur straordinaria bravura, ma come il segnale luminoso di un richiamo inatteso: è la “sua” stella, proprio di lui, il neonato re dei Giudei.
La nostra vita è come il viaggio dei Magi. Anche noi cerchiamo, e non possiamo fare a meno di cercare. Non siamo né possiamo ridurci a dei “tubi digerenti”. Non ci basta il pane che ci riempie lo stomaco; ci occorre una parola che ci restituisca il senso del sudore, necessario per guadagnare quel pezzo di pane e per gustarlo. Ci occorre una parola che ci plachi la fame di Infinito che percuote il nostro cuore, perennemente insoddisfatto finché non riposa in Colui che ci ha fatti così: affamati e insaziabili.
Non ci bastano sofisticate terapie psicologiche o raffinate diete alimentari per spegnerci la sete di assoluto che ci strazia l’anima. Non ci soddisfano illusorie promesse di santoni e di maghi. Non ci saziano né ci convincono ermetici messaggi, ricavati da enigmatici oroscopi.
Ma rischiamo di sbagliarci. Come i Magi: hanno rischiato di arrivare alla città sbagliata. Hanno rischiato di parlare del Bambino con uno spietato carnefice di bambini. Anche noi rischiamo di smarrire la stella. Abbiamo bisogno di trovare la parola che ci faccia rintracciare la strada, per non cadere vittime del potere. Anche al nostro cuore smarrito questa parola ci viene offerta dalle sacre Scritture.
2. La gioia di scoprire e la forza di cambiare
I sacerdoti del tempio di Gerusalemme conoscono a menadito le Scritture. La Parola in esse trascritta con tanto scrupolo muove i loro occhi che scorrono su e giù le righe dei sacri rotoli, ma non commuove il loro cuore e non smuove i loro piedi. Neanche a noi bastano le Scritture se non le leggiamo con le lenti della fede e non siamo disposti a lasciarci convertire. Solo così possiamo “uscire” e riprendere il cammino per arrivare a trovare il misterioso Bambino che ci attende.
Ma che sorpresa deve essere stata l’Epifania per i Magi! Si aspettavano di incontrare un principe ereditario in una reggia sontuosa e trovano un piccolo bimbo in una umile casa. Si portavano dietro un forziere d’oro perché lo immaginavano ricco e potente, ma lo scoprono povero, indifeso e disarmato. Si erano procurati l’incenso perché pensavano dovesse un giorno esercitare il culto nel tempio, e se lo ritrovano in un atteggiamento così poco sacro, per non dire “profano”. Avevano con sé una scorta copiosa di mirra perché, divenuto adulto e imbattibile condottiero avrebbe potuto curare le ferite dei suoi guerrieri, ma non potevano mai presagire che quegli unguenti d’Arabia sarebbero potuti servire alla fine a cospargere il suo corpo crocifisso.
Eppure quel giorno a Betlemme i Magi hanno conosciuto la misericordia. Il Bambino del presepe li ha incantati e commossi: con il fascino della sua povertà, con la gratuità della sua tenerezza, con la fedeltà della sua grazia, con l’esuberante ricchezza della sua sconfinata misericordia. Sì, la misericordia. Hanno cercato e hanno trovato. Hanno cercato un re e hanno trovato un bimbo, certo non in trono, ma fra le braccia della mamma. E hanno conosciuto la felicità: si sono privati dei loro tesori, perché ormai avevano trovato il vero “tesoro”.
Infine per un’altra strada se ne sono tornati al loro paese. Hanno cambiato strada perché sono cambiati dentro: non sono più quelli di prima. Hanno trovato dove Dio e l’uomo riescono a incontrarsi: nella casa della misericordia. Ormai il “dove” di Dio è il cuore dell’uomo, e il “dove” dell’uomo è il cuore di Dio. Se incontro Gesù – un Gesù vivo e dal vivo, non un Cristo fossile o libresco – cambia tutto. Cambia anche il modo di guardare i migranti che bussano alle nostre porte. E guardarli come fratelli o meno cambia tutto.
3. Una parola sul fenomeno migratorio
Nessuno nega che questa immigrazione di portata epocale sia un fenomeno che richieda di essere intelligentemente compreso ed efficacemente governato. Ma, come comunità cristiana, siamo soprattutto chiamati a declinare due verbi. Il primo è denunciare. Sì, denunciare il tragico dramma di un fenomeno migratorio che interessa masse ingenti di persone, famiglie e intere popolazioni, e si presenta come il frutto avvelenato di un sistema economico che ha depredato dovunque risorse, generato conflitti, causato povertà. Denunciare inoltre la tristezza causata da un’Europa che gioca a scaricabarile con le vite di tanti poveri cristi, tradendo così gli ideali per cui è nata. Denunciare ancora la deprecabile situazione di un mondo cinico e disumano che nega la possibilità di andare a vivere altrove: nessuno infatti può essere condannato a vita dal suo luogo di nascita. Infine denunciare l’immane catastrofe causata da quel vero e proprio “atto di guerra qual è il respingimento degli immigrati” (papa Francesco).
Ma denunciare non basta. Un altro verbo irrinunciabile per la comunità cristiana è annunciare, ossia proclamare con parole ed opere il vangelo della misericordia. “Ero straniero e voi mi avete accolto”. È il vangelo dell’accoglienza, che dice un no secco all’indifferenza globalizzata e un sì deciso alla corresponsabilità solidale. Dice no alla discriminazione etnica, religiosa e culturale e dice sì alla integrazione dei migranti “nel rispetto dei reciproci doveri e responsabilità” (Francesco). No alla retorica degli slogan strombazzati, sì al linguaggio dei gesti concreti. In questa linea ringrazio cordialmente la Caritas diocesana, la Papa Giovanni e altre aggregazioni ecclesiali, le parrocchie, le famiglie, comunità religiose e santuari che hanno risposto o hanno in animo di rispondere generosamente all’appello ad accogliere una famiglia di rifugiati.
L’epifania è una festa dal carattere marcatamente missionario. In questo anno della Misericordia e della Missione diocesana, preghiamo per tutti i cercatori di Dio perché accolgano la luce della fede. Infatti Dio si lascia sempre trovare da chi lo cerca in Gesù, e Gesù si lascia sempre incontrare da chi lo incrocia nella carne piagata dei nostri fratelli più poveri.
+ Francesco Lambiasi