Lo conosce bene, Papa Francesco, da quando mons. Bergoglio è diventato cardinale di Buenos Aires. E conosce perfettamente anche la realtà argentina. Alver Metalli, 59 anni, scrittore e giornalista riccionese, che ha mosso i suoi primi passi a Radio Riviera e al Meeting ed è stato uno delle prime firme de il Ponte, nel Paese latinoamericano ci vive dal 1987.
Ti aspettavi questa elezione? In Argentina qualcuno aveva ipotizzato la scelta di mons. Bergoglio? E come la stanno vivendo?
“Non me l’aspettavo. Nei ragionamenti che facevamo con gli amici nei giorni precedenti il conclave e durante le prime votazioni, il nome tra di noi veniva fatto, ma più come una speranza che come previsione fondata. Certamente non alla quinta votazione. È quindi stata una sorpresa che mi ha lasciato a lungo ammutolito, lì nella piazza, con l’ombrello in mano e gli occhi fissi a questa figura bianca. Solo dopo lo stordimento c’è stata la sorpresa ammirata nel vedere come Dio risponde agli empasse, perché quello di Francesco sarà un pontificato pieno di novità”.
Tu conosci da tempo mons. Jorge Bergoglio. Quali sono a tuo avviso i suoi tratti caratteristici?
“Quelli che sono già stati notati da tutti in questi primi giorni, nelle prime apparizioni e nei gesti che ha fatto, la semplicità, la grande umiltà… farsi benedire, chiedere preghiere è una cosa vista innumerevoli volte… Una indole riflessiva, composta anche nella gestualità, che ha dentro l’allegria per la fede ricevuta e la sicurezza che è la risorsa più grande per il bene dell’uomo. Poi l’attenzione alla persona singola, concreta, nel card. Bergoglio sempre spontanea, come se chi ha davanti meritasse tutto il suo ascolto, la compassione”.
Han fatto scalpore per i media italiani, alcuni gesti del Pontefice: il primo saluto molto cordiale, la scelta di salire con i cardinali, l’utilizzo di un’auto blu meno impegnativa, la croce molto semplice. Cosa ci dobbiamo aspettare da questo Papa?
“Una spinta ad andare incontro agli uomini, credenti e no, lì dove sono, condividendo la loro situazione, con il tesoro della fede”.
Oltre ai gesti, però, la stampa e i fedeli non devono dimenticare le parole del Papa: ha subito invitato alla preghiera e nella prima omelia è stato chiarissimo: “Senza Gesù la Chiesa è una Ong pietosa”. Che ne pensi?
“La frase citata porta a galla il nucleo della sua visione profonda. Un cristianesimo che va incontro agli uomini con la ricchezza della vita che nasce alla fede. La chiesa porta la misericordia e la speranza di Dio. E questo con carità e letizia”.
Tanti applausi, la folla entusiasta. Però l’elezione di papa Bergoglio ha subito scatenato anche reazioni opposte. Da una parte c’è chi lo accusa di aver frequentato troppo la teologia della liberazione, dall’altra chi invece lo addita come troppo silenzioso sul regime peronista e i desaparecidos.
“Quando si parla di teologia della liberazione si operano due restrizioni da cui è bene mettere in guardia prima di rispondere alla domanda. La prima è designare quella corrente soggetta alle categorie marxiste accettando che sia l’unica. La seconda restrizione è pensare che il tempo non sia passato, che dagi anni 90 non ci siano state evoluzioni. Mentre non è così. Tantopiù in Argentina, dove certi fenomeni hanno avuto una virulenza e una estensione molto minore che altrove. In Argentina c’è stato un nucleo, una linea teologica, che ha posto l’accento sull’esistenziale, sulla religiosità popolare, sulla cultura popolare. Più sulla storia, cioè, che sulla sociologia. È stato così per gli argentini Lucio Gera, Gerardo Farrell, Juan Carlos Scannone, o per il peruviano Ricardo Antoncich o per il cileno Joaquín Alliende, per nominarne alcuni non argentini ma nella stessa linea. Gera, gesuita e amico di Bergoglio per esempio, non ha mai accettato l’impostazione sociologica di Gutierrez e Boff. Ha cercato di incorporare il tema della liberazione nella tradizione sociale della Chiesa. Lo sforzo intellettuale di Antoncich si proponeva di mostrare come la teologia della liberazione e la dottrina sociale della Chiesa si possono arricchire mutuamente, senza dover «teologizzare» gli apporti delle scienze sociali e al contempo «sociologizzare» la teologia. Joaquín Alliende, uno dei responsabili del movimento Shoenstatt in Cile, ha dedicato delle pagine eccellenti – poetiche spesso – alla relazione cultura-cristianesimo-liberazione. Scannone, anche lui argentino, ha cercato di coniugare la linea Gera e quella di Gutiérrez; Farrell, altro argentino, forte della sua specializzazione nell’insegnamento sociale della Chiesa, è avanzato sul terreno di modernità e liberazione. Questa corrente cui accenno è stata forte in Argentina, tutti questi nomi, e tanti altri che non faccio, sono ben conosciuti da Bergoglio (e anche frequentati), tutti hanno in comune l’accentuazione del tema della religiosità popolare, dei poveri, della cultura, della storia latinoamericana, e sviluppano un approccio molto più comprensivo della realtà latinoamericana, che di conseguenza entra in conflitto con la teologia della liberazione subalterna all’ermeneutica marxista. Nelle <+cors>villas miserias<+testo> i gruppi di sacerdoti che Bergolio incoraggia e segue da vicino, si implicano a fondo con situazioni di povertà ed emarginazione, fino ad assumerne anche le rivendicazioni, ma come una presenza di Chiesa, dove la predicazione, il catechismo, i sacramenti, la formazione cristiana sono centrali. E loro si considerano eredi di figure che li hanno preceduti, annoverate come teologi della liberazione.
Quanto ai desaparecidos, e alla critica rivolta a Bergoglio di essere stato troppo silenzioso con la dittatura, cito solo la dichiarazione di questi giorni di Perez Esquivel, premio nobel per la pace e leader dei diritti umani negli anni post regime militare, che Bergoglio non è stato complice della dittatura”.
La sua attenzione per i poveri è un fatto.
“Un fatto, sì, non un programma”.
Papa Francesco prende da Benedetto XVI il testimone di una Chiesa lacerata da scandali interni, difficoltà sulla banca Ior, contrasti. C’è chi invoca una riforma. A tuo avviso, quale direzione prenderà il pontificato di Papa Bergoglio?
“Non c’è dubbio che ci saranno cambiamenti profondi. In questo senso è vero che Francesco assume l’eredità di Benedetto e farà quello che Benedetto non è riuscito a fare. Francesco modellerà la curia vaticana attorno alla sua visione, quella già detta. Una osservazione a margine, però indicativa, è sui discorsi che ha fatto; in questi primi giorni non ha ancora preso in mano un foglio, non ha letto alcun discorso, ha fatto tutti interventi a braccio. Si può prevedere che continuerà così, salvo eccezioni. Cosa ne sarà della sezione della Segreteria di Stato che si occupa dei discorsi? Ma è solo un esempio. Ci sono uffici che risulteranno obsoleti, altri che saranno ridimesionati, altri che si renderanno necessari per assecondare la sua missione. Ecco, credo che la direzione della riforma andrà nel senso di rendere la struttura funzionale ad un pontificato inteso così. Sono convinto che non sarà neppure tanto graduale”. (p.g.)